Facebook ci rende più connessi e più smart?
Quando per la prima volta, nel 2008 mi sono affacciata al mondo di Facebook, credevo veramente che la tecnologia potesse migliorarci, e così come noi, anche il mondo attorno.
Più informati, più connessi e più vicini, si sarebbero create molte più possibilità di condivisione e contatto.
Come dice Tim Rayner in questo articolo: “The gift shift: what’s social about social media” i social media sono stati creati come idea di uno spazio virtuale dove incontrare altre persone e svolgere online le stesse attività che svolgiamo offline, ma dal momento che sono online, ci dovrebbe essere un minore coinvolgimento ed un minore aspetto celebrativo rispetto alla nostra vita reale.
Secondo Tim i social media dovrebbero basarsi sulla cultura del dono, della condivisione di idee con persone che la pensano come noi, dal momento che tutti insieme stiamo lavorando alla creazione di un “digital commons”. E sarebbe fantastico se tutti la pensassero così e condividessero notizie con lo scopo di crearlo ed aiutare veramente qualcun altro. Come tanti hanno fatto per aiutare Giorgia nel suo momento di difficoltà, ad esempio.
Ma perchè dobbiamo diventare sensibili solo in situazioni drammatiche, in cui ci riconosciamo direettamente e non fare la nostra parte ogni giorno perchè questi canali online non siano solamente un luogo dove vince chi urla di più, chi punta il dito contro qualcuno e chi pensa di saperne più degli altri?
Basta scrollare la vostra bacheca per vedere quello che sta succedendo da un po’: condivisione di link perchè “possono essere utili” senza controllare la fonte, immagini condivise per partecipare a contest che regalano auto o iPhone, condivisione di notizie semi-vere usandole come “scusa” per poter affermare una propria idea basandola appunto sul link semi-vero, esprimendola con aggressività e senza accettare altri punti di vista. Non vorrei mettere in discussione l’intelligenza di nessuno, ma a volte sembra veramente serva un corso di educazione, come per prendere la patente.
E mi porrei un’altra domanda: sono comportamenti e frasi che condividereste in situazioni sociali reali, come quando vi incontrare al bar oppure ad una festa?
Secondo me, no. Quando parli con qualcuno stai ben attento a quello che dici perchè non vuoi rischiare di fare brutta figura. Online nessuno si preoccupa di tutto ciò, perchè “siamo online, siamo su Facebook, non avevi capito fosse uno scherzo? Non vorrai che sia serio qui”.
Ci sono persone che usano i social per farsi vedere, per voler dimostrare che sanno/fanno/sono qualcosa di importante grazie alla costruzione di contenuti ad-hoc ed atteggiamenti aggressivi, solo per far vedere che la loro opinione è supportata e rispettata, per esprimere unicità ed uno stile di vita esclusivo.
E’ una novità? No, nella vita reale l’apparenza e l’atteggiamento aiutano a dimostrare questo tipo di personalità, il fatto è che la possibilità di interagire con un pubblico ampio è molto minore e offline ci sono delle conseguenze che online riesci quasi sempre a schivare.
Inoltre, Facebook utilizza meccanismi che fanno in modo che vengano condivise solo le notizie ed i contenuti più cliccati, più condivisi e quindi potenzialmente più generalisti e meno di qualità.
A questo punto potrei già concludere dicendo che non è tutta colpa nostra. Ma andiamo con ordine.
Come è influenzato il nostro comportamento su Facebook?
Facebook utilizza meccanismi che fanno in modo che vengano condivise solo le notizie ed i contenuti più cliccati, più condivisi e quindi potenzialmente più generalisti e meno di qualità.
L’accellerazione della creazione di contenuti ed il calo della nostra attenzione
Oggi nel mondo si creano un sacco di contenuti, senza volere essere precisini con gigabyte, terabyte o altro, credo che questa infografica di Smart Insight renda bene l’idea:
La nostra attenzione, tuttavia, non riesce a far fronte a questa massa enorme di informazioni, e la nostra curva di attenzione non regge più di 9 secondi. Ecco, quindi, che abbiamo bisogno di filtrare le informazioni ed i contenuti, con strumenti che ci aiutino a trovarli e metodi di scrittura che stimolino la psicologia intrinseca per farci cliccare.
Ecco quindi che la suspence, l’utilità, il desiderio di possedere cose, il ricordo, l’emozione, l’ambizione, l’emulazione sociale diventano i motivi principali che ci spingono a condividere i contenuti. E la correttezza delle fonti e delle informazione passano in secondo piano, anzi forse nemmeno ci interessano. Perchè lo scopo della condivisione non è più condividere l’informazione in sè. Ma creare una emozione, un feeling in chi ci legge.
Come funziona Facebook? Conosciamo l’algoritmo di Facebook
Quando la sezione Notizie è stata lanciata è stata considerata “La sfida tecnologica più grande mai affrontata da Facebook” (come si legge nel libro: “Facebook. La storia: Mark Zuckerberg e la sfida di una nuova generazione). Eppure, oggi, l’algoritmo ha i suoi pro ed i suoi contro.
Se analizziamo i benefici, ci aiuta a capire quali sono i contenuti che veramente ci interessano, diventando una piattaforma di content curation che impara dal nostro comportamento sulla piattaforma, facendoci vedere contenuti sponsorizzati, video e profili degli amici con cui interagiamo più spesso. In un mondo che va ai 200 km/h può anche farci piacere e farci risparmiare tempo.
Ma da un altro punto di vista, il time feed premia tutti quei contenuti con il più alto numero di reazioni e condivisioni, senza ovviamente analizzare se quei contenuti siano di qualità o veritieri. Quindi, una parola o una frase, secondo un’analisi oggettiva del contenuto, possono fare la differenza per il messaggio che si vuole condividere ma Facebook lo conterà comunque come una condivisione, quindi un contenuto apprezzato (sarei molto curiosa di sapere come viene registrato in caso di reazione triste, telefono un attimo a Mark..).
Siamo noi con il nostro comportamento che influenziamo l’algoritmo, quindi siamo sempre noi a definire i contenuti condivisi. L’algoritmo può sicuramente privilegiare alcuni tipi di contenuti come le immagini o i video dei profili dei nostri amici e ci spinge a guardare questi tipi di contenuti, invitandoci a partecipare ad un mondo pre-fabbricato e deciso sulla base di obiettivi sconosciuti.
Ad esempio sono fermamente convinta che il fatto che Facebook dia più spazio ai contenuti video ed abbia aggiunto le foto a 360° sia per iniziare il “percorso di educazione” verso l’utilizzo del visore Ocolus Rift, che arriverà in Europa dal 20 settembre. Il passaggio foto-contenuti-visore sarebbe infatti stato troppo repentino per tutti, non solo per i cosiddetti utenti pionieri. (se volete saperne di più di come i diversi soggetti reagiscono all’innovazione, andate a vedervi la ricerca di Roger sulla diffusione dell’innovazione. Potete anche capire a quale segmento appartenete cliccando qui). Forse mi sto spingendo troppo in là, torno in tema.
Quindi, ricordiamoci, che l’algoritmo è sì di Facebook ma anche influenzato da noi, quindi ricordiamocene quando condividiamo certi contenuti.
La psicologia dell’imitazione (o social proof)
Immaginate di essere in vacanza in una città che non conoscete, con un amico. Uscite dall’hotel alla ricerca di un posto dove andare a cena, il concierge è occupato e non avete voglia di perdere tempo e fare una ricerca su internet. Fate tre passi ed arrivate in una strada piena di ristoranti, un thai, un tapas bar, un italiano. Non volete andare per forza all’italiano per essere sicuri di mangiare decentemente. Quindi come scegliete? Se siete come me e come la maggior parte delle persone seguite la regola del: vediamo qual è quello più pieno. Se c’è tanta gente che sta mangiando, sarà per forza buono. Se è vuoto, meglio continuare a camminare. E questo è solo un esempio di un atteggiamento comune, che ci porta ad imitare gli altri.
E’ il modo più semplice e veloce per superare la nostra incertezza. Se la maggioranza si comporta in un certo modo, è sicuramente quello giusto, poichè assumiamo che abbiano delle informazioni che noi non abbiamo. Questo comportamento si chiama social proof.
Quante volte avete condiviso un file perchè avevte visto che aveva già raggiunto un alto numero di condivisioni e non volevate rischiare di essere giudicati male dai vostri amici/parenti/ecc?
Immagino, tante. Ma avete mai controllato che quella immagine o link fossero veritieri?
Ad esempio, questo tentativo banale di disinformare.
Spero di avervi dato qualche spunto di riflessione.
Fate i bravi sui social, soprattutto su Facebook, che è il canale più generalista e frequentato.
Divertitevi in queste ultimi giorni di vacanza e non dimenticatevi di pensare!
Io adoro agosto perchè lo uso per studiare. 😀
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Cos'è un MVP? E' come rifarsi il naso - Alessia Camera
Dicembre 9, 2016 at 8:10 am[…] scrivere e che ci fossero delle persone interessate a leggere i miei contenuti. In un mondo in cui l’attenzione umana è uguale a quella di un pesce rosso non è […]