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Come scegliere la startup dove lavorare? Dal work for equity al team

Ho deciso di lanciare una nuova serie dedicata alle risposte a tutte le vostre domande sul mondo startup.
Siete in molti a chiedermi come entrare e lavorare in una startup. E a volte sento risposte confuse e poco chiare che non aiutano la scelta perché dalla mia esperienza in startup vi posso dire solo una cosa: lavorare in una startup non è come lavorare in qualsiasi altra azienda. 
Dalla scelta alla valutazione di un progetto, è importante capire per esempio cosa significa work for equity, valutare le potenzialità del team e i dettagli della posizione con cui verrete inseriti. Un altro punto importante riguarda lo startupper e il team che sono elementi imoortanti nella scelta della startup dove lavorare.
Spesso l’approccio sul come scegliere una startup è considerato simile a quello che vi porta a scegliere un’agenzia o una corporate ma dovrete arrivare preparati e cogliere le differenze, non solo per fare una bella figura in fase di colloquio. Le startup si differenziano nei processi, nella velocità e nei metodi ecco perché ho deciso di riassumere alcuni dei punti fondamentali in questo articolo che comprende anche tutte quelle riflessioni mensili che fino a ora avevo incluso solo nella mia newsletter.
Pronti ad affinare il vostro senso critico e a imparare un bel po’ di termini nuovi per trovare la startup dove lavorare?
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Perché scegliere di lavorare in una startup

Per la mia esperienza lavorare in una startup è molto utile, soprattutto oggi, un momento in cui la tecnologia cambia così in fretta da non sapere dove ci porterà nei prossimi 5-10 anni.
Saprete già che più della metà dei bambini che oggi va a scuola farà un lavoro che oggi non esiste. 
Senza scomodare il futuro, nemmeno il mio lavoro esisteva quando mi sono laureata, una decina d’anni fa. Si parlava  di digitale, di Internet ma nessuno aveva un’idea precisa su quali fossero le competenze da avere per lavorare nel tech e nei prodotti digitali, tanto che mi chiedevano lauree in informatica o specializzazioni tecniche abbastanza inutili per  figure come la mia, una figura di marketing che poi si è specializzata fino a diventare il growth hacker o product marketing manager che lavora all’intersezione tra prodotto, marketing e analisi dati per ottimizzare le metriche di un prodotto digitale.
(La confusione è ancora dietro l’angolo visto che  in molti pensano di assumere un Growth Hacker per crescere e risolvere qualsiasi problema in un battibaleno.)

Lavorare in una startup permette di essere al passo con la tecnologia e di capire quali sono le specializzazioni necessarie che domani arriveranno nel mondo delle PMI e delle corporate.
Permette inoltre di focalizzarsi sulle competenze personali e del team, sbloccando assieme il percorso da compiere in una situazione di apprendimento continuo che serve a tutti, come avere un paio di lenti sempre proiettate al domani.
perchè scegliere di lavorare in una startup alessia cameraPer esempio, se mi assumeste per lavorare a un vostro progetto di startup, potrei dirvi come ho risolto problemi simili e raggiunto risultati portando la mia esperienza passata come Growth Hacker, per farvi capire quali sono gli esperimenti da evitare e quelli sui quali mi focalizzerei. Ma non avremmo mai la certezza che quel meccanismo funzioni a priori senza testarlo, ecco perché in una startup solo i dati ci danno la sicurezza di sbloccare un obiettivo e tutto il resto non conta.
Ed è proprio questo continuo ciclo di test e di analisi a essere un potenziale enorme per qualcuno che vuole imparare un mestiere. Si impara sul campo, si va molto veloci, ci sono continui up & down come su una montagna russa, si sbaglia e si impara di continuo.
Lavorare in una startup non è per tutti ma se vi piace l’adrenalina, siete appassionati, vi sentite con il freno a mano tirato e siete pronti con determinazione a prendere i fallimenti e a metterli in saccoccia come parte del gioco, credo che non ci sia nulla di più divertente, appassionante e gratificante come una startup dove lavorare.
C’è solo una domanda da farsi all’inizio. Lavorare in una startup assorbe moltissima energia e fatica, quindi, come quando scegliete la persona con la quale passerete la maggior parte del vostro tempo libero, la vostra o il vostro fidanzato, dovrete essere sicuri di saper scegliere la startup dove lavorare.
E per scegliere bene è importante sapersi fare le domande giuste.

1) Devo farmi pagare per lavorare in una startup?

Sì, dovete sempre farvi pagare per il lavoro che fate, anche perché si tratta di lavoro e non di un piacere o un hobby (se state ancora cercando di capire come far diventare la vostra passione un lavoro dovreste leggere qui).
Poi, ci sono alcune casistiche da considerare perché le startup sono organizzazioni diverse da tutte le altre. E hanno a loro volta delle esigenze, ossia quella di assumere persone responsabili e imprenditoriali, in grado di imparare dai propri errori in modo autonomo e operative dal giorno zero.
Vi racconto un annedoto. Quando ho iniziato a lavorare in PlayStation qualche anno fa ho fatto una decina di giorni di induction, dovevo imparare come funzionavano i tool. Poi era previsto un mese di training dove ero autorizzata a fare errori e le persone mi avrebbero capito. Io sono rimasta sbalordita perché nelle startup non mi era mai successo. Ero abituata ad arrangiarmi e a impararare tutto da sola, potevo fare tutte le domande che volevo al team ma nessuno mi avrebbe insegnato il mio mestiere o mi avrebbe aiutato a non prendermi le mie responsabilità: quando scegli la startup dove lavorare e vieni assunta sono cose che metti già in conto fin dall’inizio. Non ci sono training, al massimo un giorno di benvenuto con un pranzo di team e poi via, a lavorare.

Quindi, a volte può succedere che se non avete l’esperienza richiesta vi venga chiesto di fare un periodo di apprendimento a “rimborso spese”. Soprattutto se siete una figura junior con zero esperienza e state entrando nel mondo del lavoro. Purtroppo le startup non hanno molto tempo e risorse da investire nella vostra formazione e vi potrebbero chiedere un contributo, per condividere il rischio. Sta a voi ovviamente decidere se accettare oppure no, ma l’unica cosa che importa è quella di capire se la startup è davvero interessata ad assumervi oppure sta solo cercando delle persone gratis.
Consiglio di stare all’erta e di usare qualche espediente per testare il vostro interlocutore.

  • Chiedetegli se può inserire questo patto in un contratto che prevede un tot di ore settimanali e degli obiettivi di formazione/occupazione per entrambi, con una data di inizio e una di fine.
    È vero che in questo momento la vostra esperienza è limitata ma, se siete smart, dopo 3-6 mesi in una startup avete già imparato tutto quello che serve per essere considerati junior. 
  • Assicuratevi di essere seguiti da un mentor interno con meeting/call settimanali, in modo da poter essere guidati in qualche modo.
    È vero che si impara sul campo ma se senza esperienza e senza sapere da che parte andare si rischia di mandare tutto il team alla deriva, è una precauzione importante per tutti. Il team può lavorare in remoto, potete essere gli unici a stare in ufficio a fianco degl sviluppatori, tuttavia definire chi è il vostro mentor vi aiuterà ad avere una figura di riferimento e un’assunzione di reponsabilità da parte dell’azienda.
  • Chiedete di poter lavorare da remoto dopo un primo periodo di assestamento.
    Se si tratta di una startup che lavora bene non avrà nessun motivo di non concedervi lo smart working. In questo modo potete quasi azzerare le vostre spese e cercare di gestire un contratto a rimborso spese nel miglior modo possibile.

Se vi sembra che questo discorso sia inutile o poco meritevole nel senso che il lavoro dovrebbe essere sempre pagato posso essere d’accordo con voi ma dipende da caso a caso.
Il mio MBA full time è costato più di €10k e ho lavorato più di 2 anni per pagarmelo, sfumato tutto in 10 mesi.
È stato una buona base ma tantissime delle competenze le ho acquisite lavorando dopo il master.
Un investimento deve essere sempre verificato in termini di costi e benefici e 6 mesi di contratto a rimborso spese potrebbe portare a benefici ben più alti rnel lungo termine rispetto a una posizione simile dove siete fermi ma vi portate a casa €1000 di stipendio.
Se scegliete una startup dove lavorare lo fate anche per questo, perché è più facile e più veloce imparare rispetto a qualsiasi altro modo. Fidatevi, ci ho lavorato in una corporate e sembra di andare a pranzo da tua nonna, ci sono tantissime cose che non puoi toccare, immagina se volessi cambiarle.
Quindi, come dicevo prima, a voi la scelta.
Non c’è un giusto o un sbagliato, solo un mondo completamente diverso rispetto a quello delle 9-18 che hanno vissuto i nostri genitori e che ci obbliga a sviluppare sempre nuove competenze. Ci potremmo fidare solo di noi stessi e dell’apprendimento continuo perché saranno le nostre competenze a salvarci. 
Non sono negativa ma realistica, se avete un altro punto di vista scrivetemelo nei commenti 😉

2) Cos’è e come funziona il work for equity?

lavorare in una startup work for equityIl work for equity è una modalità molto interessante di lavorare in una startup, soprattutto quando questa è all’inizio del proprio percorso di crescita.
I dipendenti sono infatti incentivati a fare bene il loro lavorare grazie al possedimento di una piccola quota azionaria, che in genere viene “promessa” al momento del contratto ma istituzionalizzata solo dopo 1-2 anni di lavoro
(anche qui non fidatevi delle parole e guardate i termini del contratto di assunzione).
Scegliere una startup dove lavorare non significa solo capire in quale settore o per quale posizione candidarsi ma soprattutto capire in quale fase di crescita si colloca la startup, poiché le sfide e le dinamiche sono completamente diverse.
Per esempio, io ho sempre preferito una startup early-stage, ossia quando il progetto si trova in una situazione di test e validazione perché credo sia più stimolante che lavorare per un unicorno oppure in una scale up già strutturata.
Nelle startup early-stage in genere si impara molto in fretta perché non il team non è troppo strutturato e potete avere un rapporto diretto con il founder, non ci sono middle manager assunti per gestire il vostro lavoro, anzi, spesso siete voi ad avvallare e potenzialmente potete dare un contributo a cambiare la direzione aziendale. Ovviamente è anche molto rischioso, perché i founder sono personaggi particolari, a volte molto concreti e altre volte sulle nuvole, potete amarli oppure scontrarvi di continuo, dipende dalle esperienze.

Se la startup dove lavorare è una early-stage state essenzialmente scommettendo sull’idea del founder.
Lui vi convincerà che va tutto bene e che insieme spaccherete il mondo, certo, se i founder non fossero dei pazzi ottimisti non inizierebbero mai un percorso del genere.
Ma vi dò un consiglio: cercate di mantenere i piedi per terra, perché se il progetto non è stato testato o è stato appena lanciato non avete mai la certezza che si tratterà di un successo.

Così come per l’idea, la stessa cosa succede per la percentuale di azioni che (forse) riceverete: non averete mai la certezza che quelle azioni un giorno varranno più di un euro. A meno che non ci sia un investitore esterno che decida che quel progetto vale qualcosa e sia disposto a investirci. In quel caso le chance sono maggiori e mano a mano che crescono gli investimenti cresce anche il valore dell’azienda e quindi quello della vostra equity. 
Quindi, la prima cosa da fare quando un founder vi chiede l’interesse al work for equity è quella di essere sicuri che qualcuno ci abbia investito. E anche qui non fidatevi solo delle sue parole, partite preparati, fate una ricerca su Crunchbase o Pitchbook visto che la maggior parte di questi dati sono pubblici e consultabili
Se la startup non ha nemmeno un profilo e il founder vuole convincervi che ha già preso milionate lasciate perdere, sta molto probabilmente sparando stronzate, la conversazione è inutile.
Se invece il profilo non c’è e il founder è onesto nel raccontarvi che si tratta di un progetto early-stage in fase di test e validazione e offre una collaborazione work for equity, tornate a leggere il punto 1 perché finché non ci sono investitori (ma investitori veri non incubatori) quelle equity valgono meno della carta usata per descriverle.

3) Quanto conta l’esperienza del founder?

Per scegliere la startup dove lavorare, considerare l’esperienza del founder o del team di founder è essenziale, perché è da loro che dipende il successo del progetto.
Quindi, se il founder è giovane ed è appena uscito da Bocconi potrebbe avere un’ottima idea ma non essere un bravo founder, così come non è detto che un’esperienza ventannale in una corporate sia sinonimo di bravura e capacità a priori. Un bravissimo ingegnere può essere pessimo a gestire le persone e gli investitori, quindi nemmeno le competenze sono una caratteristica must-have per valutare un founder.
Si tratta ancora una volta di una scommessa, un’ipotesi da testare come mi piace dire in tutti questi casi.
Io in genere valuto un bravo founder dalla facilità con cui ammette di aver fatto un errore, dall’umiltà, dalla disponibilità e dalla trasparenza delle informazioni sulla base delle domande che gli faccio.
Quanto più questi attributi sono deboli, quanto più credo non sia bravo a fare il suo mestiere.

A volte si dà anche per scontato che un imprenditore “seriale” sia per forza uno bravo, perché avrà imparato qualcosa dalla prima startup ma anche qui è necessario fare delle verifiche.
Ho incontrato decine di “imprenditori seriali” che avevano venduto la loro prima startup della quale non c’erano né siti né dati né comunicati stampa online. Progetti lunghi anni senza nessun riscontro online. Viviamo nel mondo dell’iper connessione e non c’è nulla di nulla? Ovvio che non mi fido solo delle parole.
Facile dire che hai fatto startup, l’hai venduta e hai tirato su un bel po’ di soldi che ti permettono ora di fare la tua seconda startup ma se fossi in voi non mi fiderei delle parole di qualcuno, troppo rischioso come investimento
(e troppo facile da mettere su come storiella).

4) Quanto posso crescere da qui ai prossimi 18-24 mesi?

Questa è una domanda importante da fare per scegliere la startup dove lavorare ma che vi consiglio di tenere per voi.
Se la farete a un founder non avrà una risposta per voi perché essenzialmente non dipende da lui e dalla sua startup ma da voi e dalle vostra capacità di crescere in modo veloce. Questa è la risposta parziamente corretta che spesso vi danno i founder. C’è un margine di responsabilità che non dipende da voi, infatti. Se la startup crescerà in modo veloce, crescerete anche voi, se ciò non succederà avrete a che fare con un morto vivente.
Quindi, come fare a capire se avete a che fare con una startup dove lavorare o con un morto vivente?
Dovrete avere il coraggio di fare le giuste domande sulla crescita della startup in fase di colloquio.
Per esempio, fare domande sulla crescita annuale, sul numero di utenti registrati, sul costo di acquisizione medio e sul budget speso sono più che legittime se dovrete lavorare a strategie di marketing e non si tratta di dati sensibili come ho sentito rispondere da alcuni founder (ndr se vi rispondono così scappate a gambe levate).
Se si tratta di uno bravo, sarà sicuramente felice di rispondervi non solo perché dimostrate interesse ma competenze in un campo che sarà fondamentale per voi e per tutto il team, quello degli obiettivi e delle metriche.
Inoltre, riuscirete a mettere in fila una serie di informazioni che vi faranno capire le performance dell’azienda e potrete rispondere così alla vostra domanda principale, quella sulla vostra progressione di carriera nell’azienda.
Se tuttavia doveste ricevere risposte poco precise, non numeriche o pressapochiste non vi consiglierei di rimanere e insistere, si tratta di un altro modo per testare le capacità del founder: se non risponde in modo preciso a voi, come risponderà a potenziali investitori o partner? Io preferirei non testarlo.

5) Come deve essere il team della startup dove lavorare?

Ultimo elemento per scegliere la startup dove lavorare è considerare il team.
Dal momento che non farete tutto da soli con i founder, e (spero) avrete un team di riferimento, è importante capire chi è parte del team e qual è il background perché saranno le persone con cui dovrete interfacciarvi più spesso.
Una delle cose più belle per la mia esperienza di lavoro nelle startup è infatti quello di condividere i progetti con persone appassionate e competenti ed è anche grazie al team che riuscirete a crescere in modo veloce.
Lavorare in una startup significa sforzo continuo, energie, determinazione e senza un team in grado di supportarsi a vicenda che crede nel progetto tutto ciò non avrebbe un senso.

la startup dove lavorareEcco perché é essenziale che i vostri colleghi siano bravi, competenti e che potenzialmente arrivino dal mondo delle startup per supportarvi e farvi capire cosa significa creare insieme qualcosa da zero. Possono anche non venire dalle startup ma credo che oggi una persona per lavorare in una startup debba essere appassionata e determinata, consapevole di essere su una montagna russa che va veloce e potenzialmente felice di esserlo.
I vostri colleghi dovrebbero essere positivi ed ottimisti, capaci di discutere le scelte dei loro responsabili se queste fossero considerate poco corrette e capaci di supportarvi in un ambiente che cambia molto in fretta, dove nessun giorno è uguale a un altro.

Cercate di capire chi sarà il vostro responsabile e di immaginare se potrete andare d’accordo con lui, alle volte lo si dà per scontato ma non è semplice avere una mentalità simile, soprattutto quando si arriva da contesti diversi.
Tempo fa ho fatto un colloquio per entrare in un team dove io e il mio potenziale capo eravamo gli unici ad avere esperienza in tech e startup, mentre tutti gli altri arrivavano dal mondo HR. Ora, nulla in contrario ma se uno degli executive non arriva dalle startup siamo davvero sicuri riuscirà a capire in modo immediato le dinamiche e la velocità del mondo tech?
Sarà stato bravissimo a gestire le persone ma per quello che mi riguarda ho bisogno che i miei responsabili abbiano un mix di competenze, visione e people management.
I piani sviluppati all’ultimo momento fatti da qualcuno che non sa decidere in modo tempestivo sulla base dei dati non li trovo attraenti, anzi, molto discutibili, e nelle startup non possono essere imposti dall’alto perché qualcuno pretende di avere maggiore esperienza o un ruolo più senior.
Il team deve basarsi su brainstorming e processi condivisi con apprendimento continuo perché non si sa con certezza che strada compiere senza test, fallimenti e iterazioni continue.
Il team figo è quello che non ha paura a compiere scelte difficili ma potenzialmente vincenti, e quando ciò avviene è la startup che ottiene il successo.

Se mi avete seguito fino a qui, spero vi sia piaciuto.
Lasciatemi un commento, mi farebbe piacere avere un vostro feedback visto che è costato due giorni di lavoro.
Se avete altre domande segnalatemele.
E in bocca al lupo con la vostra scelta!

 

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4 Comments

  • Reply
    Fulvio Askew
    Maggio 8, 2019 at 9:30 pm

    Una vera bomba di articolo!
    100 volte meglio di libretti da 50-100 pagine venduti a 9.99€ scritti giusto per…
    Davvero un articolo pieno zeppo di contenuti, di esempi pratici, zero fronzoli, zero cazzate! Chapeau Alessia!

    Fulvio Askew

    • Reply
      Alessia Camera
      Maggio 8, 2019 at 9:36 pm

      Grazie Fulvio, sono molto felice ti sia piaciuto. Io e i fronzoli non andiamo molto d’accordo, come avrai ormai capito 😉
      Se hai altre domande o curiosità scrivimi pure!

  • Reply
    Andrea Angella
    Maggio 10, 2019 at 12:56 pm

    Complimenti Alessia, articolo interessantissimo!

    • Reply
      Alessia Camera
      Maggio 12, 2019 at 10:32 am

      Mi fa piacere, Andrea. Qual è la domanda che ti ronzava nella testa?

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