Benvenuti in questa nuova serie sul mio blog dedicata al racconto di storie di donne che lavorano nel mondo dei dati. Ma questa volta c’è una novità, non leggerete storie scritte con il mio punto di vista, quello di una donna che lavora da parecchi anni nel tech. Ma con la lente di Giacomo Benetti un giovane ragazzo che sta cercando di costruirsi un futuro nel marketing digitale. Perché il futuro è fatto di collaborazione e inclusione, e poter dare il mio contributo per crearlo così bello mi riempie di gioia. E grazie Giacomo per il tuo entusiasmo nell’accettare questa pazza idea, lascio a lui la parola.
Le donne che lavorano nel settore tecnologico sono una minoranza a tutti gli effetti: in Europa meno del 7% delle posizioni in tech sono occupate da donne.
Non credo di avervi detto nulla di nuovo, giusto? In questi articoli cercherò di analizzare i trend socio-economici che rendono, purtroppo, questa affermazione vera. Voglio iniziare parlando del fattore istruzione.
Il numero di ragazze che si approcciano ad una laurea di tipo matematico, ingegneristico o informatico è di gran lunga inferiore a quello dei ragazzi. Questo può essere spiegato dall’approccio etero normativo e stereotipista che si ha con le donne fin da bambine quando si chiede loro di essere creative, mentre ai bambini si chiede di essere bravi in scienze e matematica.
Facendo delle ricerche su Almalaurea ho infatti notato che ci sono discipline con maggiori iscrizioni femminili (farmacia, filosofia, lettere, biologia, scienze politiche e lingue) ed altre maschili (ingegneria, informatica ed economia); uno studente ad un anno dalla laurea in una delle prime discipline guadagnerà in media 880 euro, con un minimo di 656 per lettere ed un massimo di 1246 per farmacia, mentre nelle seconde 1234, con un minimo di 1222 per economia ed un massimo di 1253 con informatica, mostrando un andamento più costante nelle discipline che ho definito maschili.
Certamente, non voglio in nessun modo dirvi come educare i vostri figli, ma vorrei portarvi a riflettere: la titubanza verso le scienze ha una ripercussione sulla vita futura delle vostre figlie, poiché il guadagno medio delle donne è di 4248 euro in meno di un uomo.
E non si tratta di un problema solo economico: essendo i profili tecnici femminili a livello aziendale scarsi, per un imprenditore è molto più probabile formare un team con maggioranza o totalità maschile.
È un po’ come andare da Zara durante i saldi estivi e cercare quel chiodo in pelle nero che hai visto online, ma una volta entrato ti rendi conto che ci sono pile e pile di parka verdi con scritto “I really don’t care, do you?” Fra le quali dovrai cercare l’unico rimasto. E’ stato sicuramente prodotto in minor quantità e tu in quel momento ti chiedi se la scarsità è dovuta da una minor domanda o offerta, mentre cerchi sul sito se è rimasta almeno un pezzo della tua taglia.
Se analizziamo l’offerta, ossia gli imprenditori che devono assumere, ci sono ricerche che dimostrano che il responsabile delle assunzioni tende a preferire persone simili a sé stesso. Pertanto in un settore prettamente maschile, la probabilità che venga assunto un uomo è maggiore, creando quindi un circolo vizioso. Chiaro, non è colpa di nessuno, ma di bias automatici che facciamo fatica a controllare. Di conseguenza, anche se il settore tecnologico sta mettendo in atto politiche attive per assumere più ingegneri ed informatici donne, non sono figure facili da trovare nel mercato attuale.
I post che scriverò in questa serie andranno ad analizzare entrambi i lati, la domanda e l’offerta di ruoli tecnici, analizzando il punto di vista di donne che stanno cercando di costruirsi una carriera in questo ambito.
L’obiettivo è quello di dare voce ai dati che ho esposto fino ad ora. Per quanto le statistiche fossero negative e le probabilità, come detto in precedenza, scarse, molte donne si sono fatte spazio in questa branca.
Il mio fine ultimo è quello di ispirare più ragazze possibili ad inseguire le proprie aspirazioni professionali ed imprenditoriali iniziando a creare una conversazione, per quanto piccola possa essere, sulla parità di genere, sull’uguaglianza e l’equità sociale. Questa conversazione la vorrei iniziare intanto con le donne che lavorano in questo ambito.

Julia nel giorno della sua laurea
In questo primo post vorrei parlarvi di Julia Lupidii, una ragazza franco-italiana che sta lavorando come data analyst a Milano. Mi ha chiamato appena uscita dall’ufficio, mentre camminava per tornare a casa. Mi ha parlato un po’ di lei spiegandomi che fin da piccola è sempre stata un “maschiaccio”: le piaceva molto giocare a calcio e andare allo stadio, fregandosene quindi dei paletti etero normativi e della ‘pinkification’ che le donne spesso subiscono fin da bambine. Infatti, continua Julia, spera che la nuova generazione di ragazze investa sulla propria educazione e sulla propria carriera, senza cadere nei tranelli della fama istantanea a cui stiamo assistendo negli ultimi anni.
Inoltre, mi ha raccontato il sistema educativo francese e il motivo del suo cambio di facoltà da medicina a matematica, dettato da una passione per la logica che l’ha accompagnata fin da quando ne ha memoria; ed infine del suo successivo Master in Business Analytics and Big Data al Politecnico di Milano, il quale le ha permesso di aprire molte porte.
Dopo un primo periodo come Business Analyst presso Carrefour, azienda che tanto le piaceva per il bilinguismo ma al tempo stesso la annoiava per mancanza di stimoli, decide quindi di lavorare nel mondo della consulenza. Così, nell’aprile del 2018, inizia a lavorare per Deloitte come Analyst nel dipartimento di Analytics and Information Management.
Continua dicendomi che, per quanto nella selezione iniziale le donne possano essere state favorite per il raggiungimento di una probabile quota rosa, nella crescita professionale saranno sempre sfavorite, soprattutto se vogliono avere una famiglia.
Secondo Julia, le donne nel suo campo sono sicuramente più ascoltate rispetto al passato e sottolinea che in Deloitte la donna è molto valorizzata, anche se rimane un mondo per lo più maschilista: Julia vorrebbe essere stimata in azienda prima come professionista e non solo come donna.
Inoltre, mi ha espresso la sua soddisfazione nei confronti del suo manager e del suo team caratterizzato da donne che collaborano e si sostengono a vicenda, anche se in azienda non ci sono molte manager da poter prendere come punto di riferimento.
Non ho chiesto dettagli in merito a questo punto a Julia ma potrei analizzarlo dal punto dei vista dei dati. In Italia, infatti, le manager nel settore privato sono solo il 16.6% e l’80% di queste si trova a Milano, dove Julia lavora. Considerando quello che avevo inserito in questa premessa, appare ovvio come per la scarsità di figure femminili direigenti, per una lavoratrice sia necessario spesso confrontarsi con manager che per un un bias automatico danno la preferenza a gruppi di uomini poco diversificati e percepiscono la figura femminile nel proprio team come un’imposizione politico-sociale.
Tornando a Julia, la nostra conversazione si conclude in modo positivo. Crede profondamente nelle pari opportunità e nella meritocrazia: dieci anni fa sapeva che sarebbe stata dura anche se avrebbe potuto farcela; oggi ce l’ha fatta.
Sono rimasto sorpreso dalla tenacia e dalla freschezza di Julia.
È stato molto interessante ascoltare il suo punto di vista sul cambio di percorso: sperimentare è fondamentale per capire ciò che si vuole fare nella vita. Spesso si ha la percezione negativa che le donne non siano in grado di farsi forza l’una con l’altra, ma Julia sostiene che le donne fanno gruppo e sono in grado di sostenersi contro le avversità. A dimostrazione di ciò, stiamo assistendo ad un rinato movimento di women empowerment che insiste per creare una rete più coesa di donne, la quale sta dimostrando che, spesso, il sostegno è tutto ciò di cui una persona ha bisogno. Lo vediamo ogni giorno: aziende di donne nate e sostenute da reti di donne. Un esempio lampante è Glossier, valutata oggi più di un miliardo di dollari.
Tutti prima o poi nella vita sentiamo il bisogno di appartenenza e di sicurezza che solo una nicchia ci può dare, ma dobbiamo anche capire che è solo una ricerca momentanea della familiarità e, col tempo, bisogna essere in grado di superare questa occorrenza. Dovremmo, come società, apprezzare e stimare le differenze che ci rendono unici, affinché nessuno debba sentirsi isolato sul lavoro o sulla vita e sentire il bisogno di rinchiudersi in un gruppo.
In un mondo che ci vuole divisi, è sempre di conforto sentire che è possibile allungare la mano sapendo che c’è qualcuno dall’altra parte pronto a sostenerti, al di là del fatto di essere uomini o donne, italiani o di altre nazionalità. Se riconosciamo di essere un solo gruppo, non c’è niente che possa fermarci dal raggiungere i nostri obiettivi.
Sono certo che molti uomini come me potranno solo che imparare dalla forza di queste ragazze che con coraggio e determinazione stanno mettendo le basi per una lunga carriera in questi ambiti e sono felice ed onorato di essere qui a raccontarvelo.
Grazie per aver letto il mio primo articolo e ci vediamo alla prossima!
Giacomo
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