Tornando a scrivere dopo questa lunga pausa mi sento un po’ Gossip Girl dopo l’estate, quando ricominciava a lanciare frecciatine a Serena.
Con tutta la passione che Dan Humphrey metteva nel suo blog, io oggi vi parlo di Elizabeth Holmes, un’imprenditrice medtech ed una frode grande come l’attico di Blair Waldorf.
Elizabeth è la dimostrazione di come una startup possa raccogliere fondi senza avere un prodotto e basare il proprio successo solo su una vision, anzi solo sull’ego del proprio founder.
Vi presento Elizabeth Holmes
Cominciamo a parlare di Elizabeth Holmes, una donna estremamente ambiziosa con un’ossessione malsana per la fama.
Fra il 2001 ed il 2004, Elizabeth è una giovanissima matricola all University of Stanford, in California. Non è la tipica cali girl: al sole e alla kale salad preferisce i laboratori dove studia per diventare ingegnere chimico. Va a Singapore, dove fa la sua prima richiesta di brevetto.
Come ogni imprenditore americano che si rispetti, lascia Stanford e lancia la sua startup, Real-Time Cures, utilizzando il fondo fiduciario che i genitori le avevano creato per gli studi come seed funding.
Il seed funding è il primo round ufficiale di raccolta fondi. È come quando a sedici anni con gli amici vuoi fare una festa e tutti mettono dieci euro per la location e il dj. Solo che invece di un gruppo di amici ci sono angel investors, fondi di investimento, acceleratori e incubatori di startups.
Nell’aprile del 2004 Elizabeth rebrandizza Real-Time Cures, cambiando il nome in Theranos e affittando il primo laboratorio di ricerca. La giovane sostiene che grazie alla raccolta di poche gocce di sangue riesce ad avere analisi accurate rispetto diversi test.
In quell’anno riesce a raccogliere 4 milioni in finanziamenti, arrivando nel 2010 ad avere 92 milioni in venture capital e George Shultz come board member.
Se ora la tua domanda è cos’è un board è quello che Lily Van Der Woodsen Bass Humphrey, nome impossibile da pronunciare senza riprendere fiato, faceva nelle industrie Bass: lei con Chuck ed altri uomini vestiti in Armani prendevano decisioni riguardo l’impero di famiglia.
Non lavorava giornalmente nell’hotel, e forse era un bene dato non penso sapesse spolverare o cucinare un toast, ma decideva le sorti dell’azienda ed era penalmente responsabile per la stessa.
L’inizio della fine
Siamo ormai nel 2011, a sette anni dal rebranding. Ormai la Holmes è una celebrity entrepreneur del calibro di Jeff Bezos. Appare sulla cover di Fortune, Forbes le dà il titolo di ‘Youngest self-made billionarie” e la Theranos è valutata 9 miliardi di dollari.
Non ho ancora parlato del prodotto che l’azienda offriva perché non c’era ancora nessun prodotto. Elizabeth riusciva a raccogliere fondi per la sua idea rivoluzionaria, ma il fantomatico macchinario di testing dopo sette anni era ancora in fase beta testing.
La Holmes mantiene una nube di mistero attorno al lancio del prodotto, grazie ai contratti di non divulgazione (nda) che fa firmare ai propri dipendenti, creando dubbi laboratori per le visite aziendali, e posticipando le deadline.
La nube, però, comincia a far storcere il naso ad alcuni clienti e John Carreyrou, giornalista del “The Wall Street Journal”, inizia un’indagine investigativa sulla Theranos parlando con ex dipendenti.
Holmes minaccia il “The Wall Street Journal”, ma loro pubblicano comunque gli articoli di Creeyrou ed il castello di carte tanto ben costruito cade: i macchinari della Theranos non funzionano correttamente ed i test fatti fino a quel momento venivano svolti in laboratori di analisi tradizionali, ma spacciati come Theranos.
Anche se il mantra di Elizabeth era “..nobody has to say goodbye too soon”, la giovane ha visto sgretolarsi il suo impero in una decina di giorni: gli investitori e l’opinione pubblica cominciano a fare domande alle quali la Holmes risponde :“First they think you’re crazy, then they fight you, then you change the world.” Una frase che non convince, forse perché le prove portate a galla sono troppe o forse perché sembra sia stata scritta da una quattordicenne su Tumblr.
Elizabeth Holmes è un mago del marketing (quello tossico però)
Elizabeth Holmes è un mago del marketing e vendeva una storia, l’ingiustizia di perdere un caro troppo presto. Faceva leva su una paura umana, la morte, per portare capitale nella sua azienda e metteva in cattiva luce la sanità americana, dicendo che i suoi prodotti avrebbero migliorato la vita delle fasce più inadempienti della popolazione. Si era posizionata come l’eroina che gli americani non sapevano di volere: era una truffa a tutti gli effetti amplificata dai media, da Forbes alla CBS, poiché la startup non aveva nessun prodotto reale.
Come Gossip Girl forgiava e distruggeva it-girls, i media possono portare molta acqua al mulino delle aziende. Mentre Elizabeth Holmes, come una Serena Van Der Woodsen meno elegante, deve affrontare i processi per frode, io continuo a chiedermi come nel 2019 si continui ad investire in aria fritta.
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