Facebook reactions, a cosa servono?
Sono arrivate le Facebook reactions, siete felici?
Ho letto moltissimi commenti di persone entusiaste e “finalmente” pronte a condividere le proprie emozioni al di là del semplice like.
Ho anche seguito i principali articoli sulla stampa nazionale, interessata a spiegare quali sono le reactions, come funzionano e in grado finalmente di darvi la possibilità di esprimere le vostre emozioni.
Ma diciamoci la verità: perché il nostro amico Mark ha deciso di implementare questa nuova opzione?
I più attenti mi diranno: “Perché il like non basta più”
I più smart mi risponderebbero: “Perché inserire le faccine é più facile e veloce”
I professionisti: “Per generare più engagement, visto che Facebook lo stava perdendo”
Tutto esatto, 10+.
In questo post vorrei spiegare anche un altro motivo: Facebook non vede l’ora di conoscervi sempre di più. E non é proprio un bene, perché Mark non é un vostro amico. Mark è il 6° uomo più ricco del mondo e primo tra i più giovani, con un patrimonio stimato di 44,6 miliardi di dollari.
“Ma com’é diventato cosi’ ricco? Facebook é gratis.”
Facebook usa i dati dei suoi utenti (1.5 miliardi quelli attivi) per vendere pubblicità alle aziende all’interno della piattaforma. Significa che se sei un’azienda e vuoi promuoverti, entri nella piattaforma e puoi creare un annuncio per tutte le persone con più di 20 anni, e che rispondono a particolari criteri.
Ma fin qui nulla di nuovo, immagino.
Usando Facebook come canale, le aziende riescono non solo a raggiungere la loro audience, ma a creare una sorta di relazione con potenziali clienti. Le relazioni, come tutti sapete presuppongono delle emozioni, ma se le aziende non sanno quali sono le emozioni che suscitano nelle persone, visto che comunque un “like” é generico, quante potenzialità potrebbero invece avere con un set di opzioni come le reactions?
BUM!
Con le reactions, le aziende riescono a capire se un contenuto o un update nella loro pagina ci rende tristi o felici, riuscendo in questo modo a costruire una pubblicità ancora più mirata, per esempio facendoci ridere se siamo tristi oppure consigliandoci un prodotto se la nostra reazione é “wow”.
E con una relazione “brand-cliente” basata sulle emozioni, é molto più semplice costruire rapporti di vendita a lungo termine e sapere cosa provano le persone nei confronti dei prodotti.
Ma c’é di più.
Facebook ha bisogno di conoscerci sempre di più, e ci spinge ad esternalizzare le nostre sensazioni. Tutto l’ecosistema creato da Mark si basa sulle persone, e quanto più condividiamo le nostre emozioni, quanto più garantiamo un futuro all’ecosistema (soprattutto in termini economici), che si evolve per diventare sempre più simile a noi e alle nostre necessità.
Grazie alle reactions, le “macchine” e l’algoritmo imparano a conoscerci e a sapere se un determinato contenuto ci rende triste o felici. E questo porta ad un nuovo utilizzo dei nostri dati, in modi che non ci aspettiamo.
Faccio un esempio raccontandovi la storia di Bob: ha condiviso un post su Facebook per fare sapere a tutti i suoi amici che era morto il suo cane, aggiungendo ovviamente che si sentiva molto triste. Molti amici hanno risposto con le reactions, principalmente “triste”, “love” e “shock”. Subito dopo, nel suo feed si é ritrovato una pubblicità di un app per curare la depressione e l’ansia.
Non vi interessa? Pensate che basti non cliccare sulla pubblicità? Forse. Ma state condividendo le vostre emozioni e Facebook le sta vendendo per fare soldi. E imparerà a farlo in modo ancora più subdolo, perché é nel suo interesse.
A breve arriveranno i dispositivi di virtual reality appartenenti all’ecosistema Facebook (Mark ha comprato Oculus nel 2014), ed avremo la possibilità di entrare in un mondo virtuale social dove potremo infatti guardare video in 3D (che si aggiungono alle 100 milioni di ore che gli utenti Facebook passano guardando video oggi), oppure giocare a ping pong con qualcuno dall’altra parte del pianeta. Ed in questo nuovo mondo, la necessità sarà quella di sviluppare una nuova forma pubblicitaria che si integra alle esperienze, e che ci aiuterà a rendere l’esperienza virtuale unica ma in linea con le nostre aspettative. In mondo virtuale costruito con i nostri dati, sulla base delle nostre aspettative, senza nemmeno rendercene conto.
E cosa succederà alla nostra vita reale?
Non vedo l’ora di sapere cosa ne pensate!
ps: questo articolo e’ stato scritto contro il mio interesse, visto che con le campagne pubblicitarie sui social ci lavoro. 😉
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