Growth Hacking Strategie di marketing per startup
Era il 2014 quando per la prima volta andavo a una conferenza e iniziavo a interessarmi al growth hacking. Un ragazzo un po’ timido ma molto bravo ci avrebbe svelato i segreti del growth hacking strategie di marketing per startup.
Occupandomi di startup ma lavorando full time per Sony PlayStation a quel tempo, sentivo di essere affascinata dal termine growth hacking e di voler saperne di più. Vincent diventò poi un amico, con il quale lavorammo a Secret Sauce Conference, una serie di conferenze per aiutare startup early stage ad applicare growth hacking e strategie di marketing per startup.
Potrei dire che se allora avessi iniziato a lavorare a una serie TV sulla materia sarei diventata ricca. E la trama c’è tutta: da chi il termine l’ha inventato, come Sean Ellis e Dave McClure, alle startup della Silicon Valley che hanno iniziato ad applicare il concetto e all’ecosistema che segue, composto da chi l’ha sentito e adottato. Poi c’è chi ha iniziato a farci corsi e a scriverci libri, fino al momento in cui tutti ne sono rimasti affascinanti, anche se per chi fa startup è entrato ormai nel linguaggio comune.
E poi c’è il narratore, in questo caso la sottoscritta.
Secret Sauce Conference fu solo uno dei primi progetti di growth hacking su cui lavorai nel 2015. Ho tenuto diversi incontri per Outreach Digital e ho lavorato con il team di Growth Hacking Talks di Dublino. Fino al mio ultimo speech al Web Marketing Festival sul Growth Hacking a Rimini a luglio 2016 per arrivare un altro progetto sul growth hacking a cui sto lavorando, del quale vi racconterò presto.
Growth Hacking strategie di marketing per startup: no trucchi, solo metodo
Il growth hacking non rappresenta una serie di hack o di trucchi che possono essere facilmente sviluppati nella propria app, landing page o sito web. Sotto il cappello del growth hacking si include un metodo, un approccio che, a differenza del marketing tradizionale, considera come limiti principali il tempo e il budget.
Negli ultimi anni il fenomeno delle startup è esploso in modo molto veloce: qual è la causa? L’abbassamento delle barriere relative a tecnologia, l’accesso immediato a informazioni e la moltiplicazione delle risorse sono tutti fattori che spingono i founder a sviluppare una startup. E quando si hanno poche risorse monetarie, tanta competizione e l’assenza di barriere all’ingresso, il tempo diventa un fattore determinante.
Il growth hacking è quindi un approccio che nasce oltreoceano dalle prime startup di successo come Hotmail, PayPal, Dropbox, ecc.
Sean Ellis è stato il primo a utilizzare questa parola per definire un metodo di sviluppo di strategie di marketing che si basa su 5 fattori principali:
- la sperimentazione (poiché spesso non c’è uno storico di riferimento);
- l’utilizzo di risorse limitate (il budget per le startup è limitato);
- la creatività (l’utilizzo di idee poco convenzionali per differenziarsi);
- il raggiungimento di obiettivi concreti (gli obiettivi devono essere smart);
- la focalizzazione sull’utente e su tutte le fasi del funnel (anche quelle tradizionalmente lasciate a programmatori, analisti o customer service.
Growth Hacking = Performance Marketing?
Come in tutte le serie che si rispettino ci sono sempre gli imprevisti. E nel nostro caso chiunque pensi che il growth hacking non abbia in realtà inventato nulla di nuovo. Per alcuni non è una semplice rebrandizzazione di concetti o attività che qualsiasi professionista nel web marketing conosceva, in un passato non troppo remoto (ma prima del 2010, prima dell’iPhone, degli smartphone, quindi essenzialmente tanto tempo fa).
Tuttavia, oltre all’orientamento ai dati e alle performance, quello che veramente cambia nel growth hacking è l’approccio: l’individuazione e l’utilizzo di un metodo che mette alla base l’interazione con l’utente e il customer funnel. I più fighi diranno che con il growth hacking non è stato inventato nulla di nuovo, e posso essere d’accordo se consideriamo la situazione italiana.
Per esempio il budget limitato a disposizione delle PMI e quindi l’esigenza di essere orientati alle performance, ai dati e alla creatività. Se pensiamo a questi elementi, rispetto alle multinazionali americane che hanno da sempre investito budget enormi anche solo per obiettivi di branding, allora possiamo dare che il growth hacking in Italia è sempre esistito.
Non ci sono segreti e guru di growth hacking
La parola che più spesso viene accomunata a Sean Ellis e ad altri che si occupano di growth è quella di guru, alimentando l’idea che esistano dei guru, degli esseri superiori che ne sanno di growth hacking. E nella nostra serie TV è qui che la cosa diventa divertente, arrivano gli unicorni e tanti altre creature mitologiche.
Ed è qui che il growth hacking diventa più simile a Black Mirror che a Misfits.
Le strategie di marketing per startup così come tante altre tecniche di marketing si imparano sul campo, con l’esperienza e sporcandosi le mani con progetti veri.
Sono spesso oggetto di fallimenti e pivot, non ci sono teorie o trucchi.
E quelli che ne sanno di più non hanno studiato come si fa growth hacking: l’hanno semplicemente applicato.
Hanno sviluppato competenze e conoscenze date da lunghe ore di lavoro su un prodotto, una piattaforma o un canale.
Il guru non nasce come guru e “quello di essere un guru” non dovrebbe essere un obiettivo.
Ma un percorso e un’esperienza che si costruiscono nel tempo.
La verità e che non ci sono guru, trucchi o segreti nel growth hacking.
La parola “growth hacking guru” è di per sé una leva di marketing.
Ci possono essere tool, corsi o strumenti che aiutano a raggiungere l’obiettivo in modo più semplice e veloce. Chi ha esperienza sul campo è in grado di utilizzare una combinazione di tecniche particolari che ha sviluppato in modo autonomo nel tempo. Ma non è un guru.
L’unico modo per sbloccare la crescita di una startup è quello di seguire un metodo di lavoro e di essere focalizzati su obiettivi specifici: solo la completa conoscenza del tuo prodotto, degli utenti e dei canali di riferimento ti aiuterà a essere vincente.
Dove si impara il growth hacking?
Il growth hacking è un metodo che può essere facilmente appreso da libri, blog e best practices dalle aziende più famose. Vi sconsiglio Nextflix, perché potreste illudervi.
I cambiamenti tecnologici di oggi ci spingono a imparare ogni giorno cose nuove: quante sono le nuove funzionalità sviluppate per esempio da Facebook nel corso dell’ultimo anno? Se vuoi lavorare nel marketing di una startup devi essere veloce e conoscere le piattaforme di distribuzione, le strategie e le tecniche.
Un growth hacker deve essere curioso, creativo, analitico,
Deve avere competenze specifiche di canali e generiche di marketing
. Non deve essere un programmatore ma deve essere portato per la tecnologia. Deve avere a cuore gli utenti e avere un indole da problem solver.
Una volta che avrai appreso il metodo per sviluppare strategie di marketing per startup sarai solo all’inizio. Dovrai mantenere le tue skills nel tempo, approfondendo le tue conoscenze e acquisire esperienze in progetti diversi.
Dovrai anche affrontare situazioni difficili, dove avrai forse fallito. Ma non pensare che i fallimenti siano negativi.
Si tratta di situazioni dalle quali imparerai molto e che nel lungo termine potresti anche vedere in termini positivi.
Growth Hacking: Strategie di marketing per startup, la serie.
Se ti è piaciuta questa puntata, allora dovresti anche leggere:
- perché il growth hacker dovrebbe anche saperne di design che trovi cliccando qui
- quali sono le caratteristiche e le skills del growth hacker, che trovi cliccando qui
- perché un growth hacker non dev’essere un guru e non ha segreti, che puoi leggere qui
- che cos’è il customer journey e perché è un grande alleato per chi si occupa di growth hacking, che trovi qui.
2 Comments
fabio
Agosto 18, 2019 at 7:23 pmottimo articolo, molto interessante
Alessia Camera
Agosto 19, 2019 at 2:50 pmGrazie Fabio, molto felice che sia un argomento ancora attuale.