Mi ricordo quando nel lontano 2011 ho cominciato a lavorare con i social media.
Oltre agli strumenti, erano arrivate delle parole e definizioni nuove che ci consentivano di capire quali fossero i task e le attività da svolgere in questo nuovo mondo digitale.
Si iniziava infatti a parlare di engagement, ossia di quella metrica che misurava le potenzialità di questi nuovi canali.
Con la parola social media engagement (che spesso in italiano viene terribilmente tradotta con “ingaggio”) si misura il numero delle conversazioni, dei commenti e dei like stimolati dai contenuti condivisi nelle pagine Facebook e nei profili Twitter. L’engagement è la metrica che dovrebbe misurare le performance di una strategia nei social, poiché a parità di condizioni analizza il successo di un’immagine, di un copy o di entrambi.
Dopo avervi già detto cosa penso dei followers sui social media e dopo aver ragionato se abbia davvero senso focalizzarsi sull’aumentare il numero di like su Facebook e aver ragionato sulla differenza tra chi pensa per sé oppure pensa in grande, sono tornata a chiedermi se il social media engagement sia una metrica con ancora un senso e ho pensato di condividere con voi questi pensieri.
Il Social media engagement nel 2019
Il tasso di engagement è dato dalla somma di like, commenti e condivisioni diviso per il numero di followers e come già detto è una metrica fondamentale per capire le performance di una strategia di social media marketing poiché ci permette di capire l’apprezzamento di un contenuto. D’altra parte, è proprio per quel motivo che usiamo i social dal punto di vista aziendale, vogliamo stimolare conversazioni e fare in modo che le persone conoscano i prodotti o i servizi delle nostre aziende grazie ai contenuti che postiamo. Ottenendo un cospicuo numero di interazioni con il pubblico sui social, possiamo avere una certa sicurezza che ciò stia succedendo e lo misuriamo con le interazioni che otteniamo dal post.
Ora, quando abbiamo cominciato a lavorare con i social media, qualche tempo fa, tutto ciò sembrava abbastanza naturale. Il problema è che nel corso degli anni tutto ciò che avveniva in modo spontaneo, in organico, è stato penalizzato: oggi abbiamo bisogno di pagare per ottenere l’attenzione di qualcuno, non solo perché è oberato di contenuti e i canali social sono aumentati a dismisura, ma perché il buon amico Mark ha penalizzato la visibilità dei post che quindi costringe le aziende (e chiunque voglia utilizzare i social media per farsi conoscere) a pagare per ottenere visualizzazioni e interazioni, quindi engagement.
Non sto dicendo nulla di nuovo sotto al sole, credo che ormai sia un’informazione condivisa da tutti, che per raggiungere un determinato pubblico abbiamo bisogno di pagare. Bene, ora girerei la domanda e se fossi quelle aziende che vogliono farsi conoscere mi chiederei: perché dobbiamo pagare? Per aumentare quell’engagement rate che fa tanto felice il nostro social media manager e ci rende imprenditori più fighi perché pensiamo che il contenuto aziendale abbia ottenuto 100 like e 3 commenti? E ha davvero un senso se poi, cercando di capirne un po’ di più, vediamo che metà di quei like arrivano dai nostri dipendenti e dai loro amici?
Ecco, io credo che nel 2019, tutto ciò non abbia più alcun senso. Mi dispiace amici miei.
Facebook non è più quello di una volta. E nemmeno l’engagement rate. A meno che non diventiamo più furbi e se proprio vogliamo pagare cerchiamo di allenare l’occhio a una visione più a lungo termine.
Perché l’engagement non misura più il successo?
L’engagement era una metrica decorosa e rispettosa quando ancora si poteva parlare di organico, (se non mi ricordo male fino al 2014, e Hubspot lo conferma).
Oggi, ahimè, è una metrica che non conta più nulla perché senza soldi sui social non ci fai nulla. Se sei un’azienda e hai una pagina Facebook, in organico ottieni quella decina like che sicuramente non ti fa capire se il tuo social media manager sta facendo bene il suo lavoro, che non ti permettono di parlare di ROI e dai quali non ottieni nessuna informazione relativa al tuo business e al tuo target.
Nessun “eh ma” o “secondo me”, mi dispiace.
Tuttavia, non vorrei farvi pensare che dobbiamo tutti diventare il “Taffo” della situazione per cercare di acchiappare un pugno di like e sperare di sbloccare il successo. Anche il real time marketing ormai non fa più ridere nessuno, l’abbiamo scritto io e Michele Pagani su Viral marketing. Certi contenuti stimolano sicuramente il passaparola, diventando protagonisti delle chiacchiere da salotto (digitale o fisico non conta) ma la domanda che dovremmo porci è solo una: ci aiuterebbe a vendere un prodotto in più o ad acquisire un potenziale cliente?
Boh. Chi lo sa. Risponderei con un forse solo per lasciare un barlume di speranza e non inimicarmi i colleghi ancora convinti che questo tipo di contenuti funzioni. Ma credetemi, è davvero difficile credere che ciò possa succedere. Magari al supermercato qualcuno potrebbe acquistare una Ceres in più perché si ricorda dell’ultimo post simpatico condiviso. Ma quell’engagement potrebbe essere solo temporaneo e portare allo stesso effetto ma in negativo in qualcun altro che si è sentito offeso da quel post. Ecco quindi che se dobbiamo capire come misurare gli effetti sulla vita reale di quel social media engagement che ci ha fatto ottenere centinaia di like e decine di condivisioni quello sì, è un problema. E non ci sono ancor metriche oggettive che definiscono causa ed effetto, che combinano online e offline magari su un arco di tempo lungo e complesso come sono le customer journey che stiamo vivendo in questi ultimi tempi. Quindi, mettiamocela via, se dobbiamo pagare per ottenere engagement, forse misurare l’engagement sbloccato dal budget non ha completamente senso, perché se è vero che possiamo sapere quanto ci costa un interazione, quale risultato concreto ci portiamo a casa per l’azienda dove stiamo lavorando?
Social media engagement vs obiettivo concreto
Giunti a questo ultimo paragrafo spero sia chiaro per tutti voi che mi avete seguito fino a qui che il social media engagement non è un obiettivo concreto. Chiamatela vanity metric, chiamatela metrica social, trovate delle vostre definizioni, tuttavia non è una metrica che serve a farvi prendere delle decisioni perché non vi dà nessun insight sulla strategia.
Se il vostro video è stato visto 150.000 volte o avete ottenuto 250 like spendendo 500€ non vi servirà una laurea in matematica per capire che avete speso 2€ per like, e potreste anche darvi una pacca sulla spalla pensando di aver ottenuto grossi numeri.
Ma mi dispiace deludervi, la vera domanda da porsi è: cosa capisco da questi dati?
Quali scelte mi permettono di compiere in termini aziendali?
Non credo troverete risposta concreta a queste domande perché appunto trattasi di metriche di vanità, metriche social che certo, ti danno un’idea delle performance di quel contenuto ma non delle performance del tuo business, del tuo evento o del tuo prodotto.
Se paghiamo per essere sui social dobbiamo essere coscienti degli obiettivi che vogliamo raggiungere: le nostre campagne su Facebook devono essere efficaci.
Non vi sto invitando a chiudere tutte le pagine sui social, anche se c’è chi l’ha fatto.
Io credo sia ancora necessario essere lì e presenziare i nostri profili con creatività e buoni contenuti. A patto che questi siano inseriti in una strategia multi-canale con obiettivi chiari e concreti, dove i social sono un canale ma non l’unico dell’intera strategia e l’engagement vi aiuta a capirne parte dell’intera performance.
Ecco alcuni obiettivi concreti da raggiungere grazie ai social media:
1) Obiettivi di vendita immediata, per esempio una campagna che punta a una landing page per vendere biglietti a un evento, l’importante è che il ciclo di vendita sia veloce, il prodotto abbia un prezzo catchy e magari relativo a un brand che il pubblico conosce già. Per esempio, a Londra tutti quelli che organizzano concerti usano questo tipo di strategia: nessuno più di Faceboook conosce i nostri gusti musicali e quando vedi che la tua band preferita è in town che fai, non compri il biglietto?
2) Obiettivi di lead acquisition generici, qui starei più attenta alla strategia, per la mia esperienza una banale landing page spesso non funziona. Magari dall’adv punterei a un blog o a un e-book da scaricare o a un webinar a cui iscriversi. Coccolate i vostri lead fin dall’inizio se il funnel di acquisto è potenzialmente molto lungo, inseriteli in un meccanismo di lead nurturing e li troverete caldi e pronti a convertire nel lungo termine.
Oppure come proposto da Luca Bontempi, (anche lui digital strategist ed e-commerce manager con un recente passato ad Amsterdam), potreste utilizzare i social media per individuare un pubblico freddo e costruire campagne sequenziali per portarli nel vostro sito/funnel di acquisizione. In entrambi i casi notate bene che l’engagement non si ferma a misurare la campagna su Facebook ma è funzionale per raggiungere un obiettivo strategico che come dicevo all’inizio non è fine ai social media ma che considera un insieme di canali che integrati tra loro e l’analisi delle metriche individuali portano a raggiungere un obiettivo univoco.
3) Obiettivi di analisi di un pubblico specifico, per esempio quando l’obiettivo di una campagna non è la conversione in sì ma l’analisi delle reazioni rispetto a un contenuto su una target ben definito. E’ questo uno dei pochi casi dove il social media engagement è interessante perché l’obiettivo è capire quale copy, quale tipologia di contenuto e design sblocca engagement e quindi avrà maggiori possibilità di convertire. Sono in genere campagne che vengono sviluppate in pre-lanci che servono a ottenere dati da utilizzare poi nelle vere campagne, dove la sperimentazione e l’A/B testing la fa da padrone. Interessante vedere come dal mondo delle startup e dei prodotti innovativi, questa tipologia di campagne viene sempre più usata dalla politica.
4) Obiettivi di retargeting e ampliamento dell’audience di riferimento tramite lookalike: un obiettivo un po’ più tecnico e specifico rispetto agli altri ma comunque interessante per quanto riguarda l’engagement. Anche in questo caso, infatti, il social media engagement è funzionale a obiettivi di retargeting, attraverso il quale si possono caricare delle proprie liste e usare i social come strumento di retargeting sui prodotti proprio e-commerce /sito mentre con le audience lookalike si può sfruttare il database miliardario degli utenti di Facebook per capire se ci sono altre nicchie di utenti con le stesse caratteristiche dei clienti attuali, potenzialmente interessati all’acquisto dei nostri prodotti.
Non vi devo ripetere che per monitorare entrambi questi obiettivi non basta misurare l’engagement, vero? (e grazie nuovamente a Luca per l’aggiunta!)
Ovviamente questi non sono che alcuni degli obiettivi, se ne avete degli altri o volete arricchire le considerazioni con un vostro commento aggiungeteli qui in fondo!
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