Appunti del mio 2021-2022. Cosa mi aspetto dal 2023?
L’anno scorso ho saltato a piedi pari il momento delle riflessioni perché non era il momento di farle: ero nel mezzo di uno sprint.
Entrata in Taxfix a marzo 2021, avevo appena concluso “la prima stagione”, come la chiamavamo noi, ossia 7 mesi di test, sperimentazioni, ipotesi e domande, ed ero nel mezzo del planning della strategia di go-to-market per l’Italia.
Stavo costruendo un team di persone molto brave, selezionandole tra circa 50 colloqui fatti. Stavo buttando le basi per l’execution 2022 di content, brand e performance con la definizione della marketing strategy e per non farmi mancare nulla stavo anche lavorando sul marketing di prodotto.
Oggi che quell’avventura è al capolinea, posso finalmente tirare le fila di quasi due anni in cui sono davvero cresciuta moltissimo.
Quali erano i miei obiettivi per il 2021? E per il 2022?
Come scrivevo qui, nel 2020 avevo preso una decisione: quella di lavorare a sfide più complesse e dal maggiore impatto.
Non che le sfide che vedevo da consulente fossero semplici. Ma mi ero resa conto che il 40% del mio tempo era admin: email, call, contratti, preventivi.
Avevo fatto un po’ di ricerca e questa matrice di Reforge sulla prioritizzazione del lavoro value vs complexity mi aveva fatto capire che lavoravo moltissimo su progetti low value e spesso low complexity. E spesso questa categorizzazione non dipendeva nemmeno da me: non potevo fare nulla per spostarli di quadrante dato che “ero solo una consulente”.
Alcuni di questi progetti facevano fatica a partire con il piglio giusto per problemi di budget, team e risorse varie. Altri erano zoppi, sembravano partire bene ma poi si complicavano via via. Altri erano validazioni di idee che tuttavia sapevo non sarebbero diventate mai un prodotto.
Era da un po’ di tempo che non lavorano per costruire un VERO prodotto digitale che potesse portare impatto e mi mancava molto. Un progetto da collocare direttamente nel quadrante high value + high complexity. Dal 2019 era diventato sempre più complesso lavorare con startup early-stage da freelance perché passavo molto tempo in Italia e quasi tutto il mio network non era più basato a Londra. Inoltre le startup early-stage soffrivano sempre più la Brexit. Quello che nel 2016 era partito come un breve periodo di pausa e di esplorazione, si era trasformato in 5 anni di consulenza di product e marketing per più di 20 startup.
Forse era arrivato il momento di una svolta.
Avevo voglia di fare qualcosa di nuovo e quindi sono entrata in Taxfix per lavorare alla strategia e all’esecuzione del go-to-market per l’Italia, che includeva product e marketing con lo stesso approccio e velocità di una startup early-stage.
A febbraio 2021 mi ero data dai 3 ai 5 anni per:
1. Creare un prodotto che aiutasse qualche milione di persone a fare le tasse online, senza sbatti e senza preoccupazioni, come avevo imparato in UK;
2. Gestire budget di qualche milione con obiettivi chiari e ambiziosi;
3. Creare e motivare un team di persone dalle super performance, come richiedono le startup early-stage;
4. Creare un brand di impatto e riconoscibile su un tema particolare e su un settore regolamentato come quello delle tasse;
5. Tornare a riportare a un capo (CGO) dal quale potevo imparare velocemente, migliorando le mie hard skills e soft skills.
Volevo la sfida! Beh la sfida c’era tutta, all’ennesima potenza.
Ognuno di questi obiettivi era per me una sfida.
Gli obiettivi sono davvero così importanti?
Questi 2 anni in Taxfix mi hanno fatto vedere le cose sotto un altro punto di vista.
Mi sono sempre focalizzata sugli obiettivi perché per me erano essenziali per capire quale direzione prendere.
Da freelance ricevevo sempre moltissime richieste e darmi degli obiettivi mi permetteva di non perdere la bussola compiendo scelte veloci sulla base di quella che per me era la direzione da dare al mio personal brand e dei valori che volevo portare avanti con il mio lavoro, senza dimenticare che dovevo anche, ovviamente, fatturare.
Come responsabile di un team, tuttavia, è entrato un nuovo elemento nell’equazione: il processo.
L’ho scoperto perché gli obiettivi erano quasi la parte più semplice, erano diventati OKR di team, chiari e condivisi da tutti.
Quello che faceva la differenza era il modo in cui portavamo avanti progetti e framework di sperimentazione per raggiungere quegli obiettivi tanto ambiziosi. Quando lavoravo da freelance il processo non era mai importante perché dipendeva da troppe variabili che non controllavo, per cui per me il processo era “qualsiasi modo per raggiungere l’obiettivo“.
Quando sei responsabile di un team in una scale-up, ho imparato che non sei responsabile solo dei risultati.
Con la definizione e la condivisione dei processi capivamo come design, marketing e product dovevano collaborare assieme. Da freelance mi ero sempre concentrata su “prendere la decisione” considerandolo come l’elemento più importante. Focalizzarsi molto più sul processo permetteva invece un maggiore ascolto e una migliore collaborazione con un focus costante su documentazione ed esecuzione. E così il processo diventava essenziale non solo per capire se arrivavamo all’obiettivo, ma per aiutarci a mettere insieme anche le nostre emozioni, le motivazioni e i learning personali. Così abbiamo imparato non solo a costruire un business ma a sperimentarci e a migliorarci in un processo di apprendimento continuo. Ovviamente sono la prima ad aver fatto molteplici cazzate in questo percorso che però mi hanno permesso di imparare moltissime cose su di me, come leader e come marketer.
Cosa ho imparato su di me
Cambiare il focus da obiettivo a processo mi ha permesso di capire cosa ho imparato sulla base delle sfide che avevo aperte.
Come dice James Clear in Atomic Habits focalizzarci solo sugli obiettivi ci fa pensare solo in termini positivi o negativi, invece il processo ci permette anche di comprendere come questo ha influito sulla nostra persona e sui nostri valori, al di là degli obiettivi che possono rappresentare una semplice soddisfazione temporanea.
Infatti, anche se alcuni di questi obiettivi non sono riuscita a raggiungerli, dato che l’esperienza è finita in anticipo complice una crescita folle e una congiuntura economica complessa che ha portato a fare scelte poco condivise, ho davvero imparato moltissimo su di me e mi sento un’altra persona rispetto a quando ho iniziato.
Riassumo i learnings più importanti.
1. Sul prodotto ho imparato che le opinioni sono discutibili, l’execution è essenziale ma senza documentazione è facile sbagliare. Finora avevo lavorato a prodotti forse più semplici con team più piccoli. Ogni mattina lo stand up ci permetteva di focalizzarci, allinearci e condividere insights. Il solo team di prodotto di Taxfix Italia aveva la stessa dimensione di tutte le startup in cui avevo lavorato fino a quel momento per cui lo stand up non bastava, anche perché non poteva essere invitato tutto il team di marketing, avevamo altre priorità da gestire. Per cui abbiamo cominciato a creare documentazione che raccogliesse ipotesi, learnings, dati, insights. Si evitavano fraintendimenti e disallineamenti ed era uno strumento utile anche per tutti gli stakeholder interni con cui dovevamo allinearci. Ho imparato che la comunicazione è fondamentale e che ognuno di noi comunica in modo diverso per cui non esiste un modo migliore. L’unico modo per raccogliere tutte le opinioni e allineare velocemente chiunque su discussioni e decisioni è creare documentazione. E a me non piace farlo per cui ho dovuto davvero sforzarmi quando ho capito fosse uno dei pochi modi per aiutare il team a prevenire problemi. E il team viene prima delle mie preferenze personali.
2. Sulla gestione di un budget a 6 zeri ho imparato che le piccole ottimizzazioni non creano vero impatto. Le aspettative di chi mette a budget 6 zeri non contemplano un miglioramento dello zero virgola. Ho passato i primi 5 mesi a testare e sperimentare lanciando non so nemmeno quante campagne diverse su Instagram e Facebook. C’erano poi anche GAds, il blog, le landing page. Ero arrivata a un momento in cui non avevo più idee. Ma ero felice perché ogni settimana imparavo qualcosa di nuovo e per me è sempre stato fondamentale learning fast.
Tuttavia nei meeting con il mio capo notavo che dal suo viso non trasparivano le mie stesse gioie. Poi un giorno gli ho chiesto cosa avrebbe fatto di diverso se fosse stato al mio posto. E mi ha detto che le ottimizzazioni e i learning sono utili per imparare velocemente ma non fanno cambiare l’ago della bilancia: sono utili per capire la direzione corretta ma non ci fanno andare più in fretta nella direzione corretta. Cosa sarebbe stato meglio fare? Non ha risposto alla mia domanda e anche se lì per lì avevo giudicato questo silenzio in modo negativo mi è piaciuto non avere la sua soluzione. Su di me so che non mi piacciono i consigli facili perché preferisco trovare da sola delle soluzioni. Ho passato una settimana a pensare e capire quale fosse l’ipotesi da testare e il modo più veloce per testarla garantendoci il maggiore impatto possibile. Sono tornata dal mio capo con il business case del test in TV ed ho capito che la strategia fail fast comprende anche il big risk. Altrimenti è impossibile il fail fast.
3. Sul team ho imparato che l’empatia e la psychological safety sono fondamentali.
Definire un obiettivo comune è essenziale per far capire al team che l’obiettivo è condiviso tra tutti e che quindi c’è fiducia nel fatto che assieme si possa raggiungere. Ma ci sono due elementi ancora più importanti: avere cura delle persone da un punto di vista psicologico ed emotivo, come spiega Kim Scott in Sincerità Radicale, uno dei miei libri preferiti. E il secondo: dimostrare che le persone sono al sicuro, anche quando commettono errori. Esprimere la nostra vulnerabilità, le nostre debolezze, è fondamentale come leader e riafferma la fiducia che abbiamo in noi stessi, con la conseguenza che quella fiducia viene riconosciuta anche dal resto del team. Ciò non significa tuttavia che gli errori non devono avere importanza perché renderli noti e riflettere sulle motivazioni per cui sono avvenuti permette di evitare che si possano commettere nuovamente. Su di me ho imparato che la vulnerabilità più difficile da condividere è con chi sta sopra di noi, soprattutto quando abbiamo paura di essere giudicati.
Non tutti sono bravi a creare psychological safety (anche per questo tema c’è un altro bel libro che vi consiglio, si intitola The Culture Code).
4. Sul creare un brand di impatto e riconoscibile in un settore regolamentato ho imparato che il customer service è sostanziale.
Operare in un settore regolamentato è complesso perché, da una parte obbliga i team a seguire dei percorsi rigorosi, calibrando spesso tutte le attività e persino le parole che si usano. Dall’altra parte il rischio è di bloccare creatività, spesso creando frizione tra chi nel team spinge verso l’adozione delle regole rispetto a chi cerca di operare nelle eccezioni alle regole. Un brand riconoscibile è per definizione un brand che fa delle scelte eccezionali e disruptive per cui, per crearlo è necessaria la creatività che spesso esce dagli schemi, seguendo percorsi in labirinti più o meno definiti. Tante iniziative che sono uscite erano frutto di ore di contrattazioni e di compromessi di questo tipo. Tuttavia spesso non uscivano come volevamo perché nella contrattazione perdevamo dettagli, tempi e molta energia, creando a volte frustrazione per i nostri clienti. Per fortuna c’era il nostro customer service (+ esperti fiscali nel nostro caso) a gestire tutto facendo magie: le loro risposte puntuali a domande complesse, la loro gestione di situazioni fiscali particolari in costante ascolto, mettendo il cliente al centro ci salvava continuamente. Erano loro che risolvevano problemi che spesso non riuscivamo nemmeno a prevedere. Il customer service era il team che metteva davvero in campo creatività, comunicando il brand di impatto, disruptive e riconoscibile nel modo più pragmatico che esiste: fornendo quel valore che i nostri clienti cercavano davvero.
5. Sul riportare a un capo dal quale imparare soft e hard skills ho imparato che non è detto che lui ne sappia più di te.
Nelle aziende non è detto che i tuoi colleghi e i tuoi capi ne sappiano più di te. E in realtà il tuo compito non è quello di seguire i loro consigli ma di condividere idee, insights, soluzioni e magari di discutere le opzioni assieme prima di prendere le decisioni. Ed è normale supportarsi a vicenda e collaborare sui temi su cui ci sentiamo più deboli, anche da un punto di vista psicologico ed emotivo con sessioni di peer coaching.
Nel rapporto con il mio capo ho imparato che ero io a definire i contorni del mio lavoro e a progettare il mio ruolo.
Ho imparato il concetto di “managing up” che significa che in qualche modo sei tu a creare e sviluppare la relazione con il tuo manager. Ho provato a mettermi nei suoi panni per capire il suo modo di comunicare e il suo stile di leadership per capire a mia volta come pormi e farmi capire da lui, con l’obiettivo di rendere più semplice il suo lavoro ed evitare fraintendimenti tra di noi. E’ un concetto pazzesco che non mi era mai capitato di vivere in passato e che mi ha permesso di ottenere feedback e scambiare opinioni su problemi e obiettivi comuni, senza darne per scontato che venissero compresi sforzi, valore e priorità. E senza dover solo acconsentire ai suoi suggerimenti 🙂
Tutti questi insegnamenti ovviamente non sono il risultato di un processo lineare, ma arrivano da molteplici errori e fuck up commessi nel percorso. Ho imparato a non avere paura di dire I have failed.
Cosa mi aspetto per il 2023?
Sarà sicuramente un anno di novità e di nuove sfide.
Non so ancora quali, mi prenderò il lusso di un po’ di tempo per capire quali saranno.
Seguirò i consigli di Tony Fadell, il creatore di iPod, iPhone and Nest, come se fosse il mio mentor, quando in Build (un altro bel libro che ho letto quest’anno che vi consiglio) racconta che quello che conta è imparare sempre e che innovare significa prendersi dei rischi.
Non penso di saper stare in un angolo calma e buona, aspettando che le cose arrivino. O che cambino da sole.
Ci sono due macro temi che mi appassionano a cui vorrei dare priorità per il 2023: climate tech (+ sostenibilità + etica), e Venture Capital.
Ho già iniziato a esplorarli, soprattutto per quanto riguarda il venture capital: ho investito nella mia prima startup italiana da business angel, della quale sono diventata anche advisor. Si chiama Sommelier Wine Box.
Credo passerò i primi mesi a cura di riflessioni e confronti, facendo ricerca e networking, con l’idea di continuare a lavorare su prodotto, team e brand perché è quello che mi piace di più.
Se volete seguire il mio viaggio vi consiglio di seguire la mia newsletter settimanale, più di 1.500 persone appassionate di tech, startup, growth e marketing la ricevono ogni settimana. È gratuita e ci si iscrive qui: https://alessiacamera.substack.com
Invece in termini di propositi più personali vorrei continuare a ricostruire Alessia fuori dal lavoro.
Facendo meditazione e yoga che mi aiutano a gestire momenti di grande stress, continuando ad andare in palestra e ad arrampicare per sfidare continuamente i miei limiti e acquisire sempre più fiducia per ricordarmi che non è vero che non posso farcela. E magari fare qualcos’altro.
Sono 3 anni che sono tornata da Londra ma con la pandemia non sono riuscita a creare nuove abitudini, ed ora è il momento.
E continuare ad arredare casa a Milano che sta venendo davvero molto bene. Se penso che ho imparato tutto da zero ed è nata dalla nostra intuizione posso solo dirci che siamo stati un bel team.
Tutte le foto sono o saranno presto su Instagram.
Chiudo tutto e vado in ferie.
Buon 2023 anche a voi!
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