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It’s time to build: è arrivato il momento di costruire (startup)

Un paio di giorni fa è uscito un pezzo fantastico di Marc Andreessen sul blog di a16z: it’s time to build.
Marc è un imprenditore storico della Silicon Valley, ha creato uno dei primi browser Mosaic che si è evoluto in Netscape, poi acquisito da AOL alla fine degli anni ’90, dopo la prima IPO della storia dellle dotcom.
A16z è l’azienda di venture capital che ha co-fondato assieme a Ben Horowitz che aiuta startup e imprenditori a crescere. Forse Ben lo conoscete anche perché ha scritto il celebre The hard things about the hard things.
Stiamo parlando di due persone con un’esperienza pazzesca che in questo contesto fatto di paura, sfiducia e poca chiarezza ci stanno dando un consiglio forte: è arrivato il momento di costruire, il momento di sviluppare nuove idee di business.

Cosa significa “it’s time to build”?

Letteralmente “è arrivato il tempo di costruire” ma non mi riferisco al solo significato letterale.
Nel 2012 mi sono trasferita a Londra e, assieme a me, in quel momento, molti altri stavano arrivando da ogni parte del mondo.
Arrivavano dalla Finlandia e dall’Estonia in cerca di linfa vitale dopo lo stallo di Nokia.
Arrivavano dagli USA con l’entusiasmo di condividere le esperienze vissute nella Silicon Valley dei primi anni 2000.
Si stava creando un ecosistema, partendo dalle persone che insieme decidevano di sviluppare nuove idee e di sperimentare nuovi progetti digitali. Tutti quelli che ho incontrato a Londra in quel periodo avevano una caratteristica comune: l’entusiasmo di sviluppare e lanciare nuovi prodotti.
time to build startup
Eravamo assorti in un completo “it’s time to build”.
Ci supportavamo, lavorando duramente e tanto, anche nei weekend. Si creavano micro team di lavoro tra sconosciuti per testare velocemente le idee. Ci scambiavamo idee e task, anche quando non eravamo davvero convinti potesse funzionare: l’entuasismo era più forte di qualsiasi paranoia. In quei primi 10 mesi a Londra ho lavorato per sviluppare moltissime idee e nel fare ciò non dovevo difendermi da critiche poco costruttive, dalle frustrazioni di chi mi metteva i bastoni tra le ruote per ottenerne un guadagno personale o semplicemente per il gusto di farlo.
C’era un unico obiettivo condiviso dal team: far funzionare un’idea e un prodotto digitale nel più breve tempo possibile per scalarlo e bussare alla porta degli investitori con metriche concrete. 

Quando ho letto l’articolo di Marc mi sono rivista 8 anni fa a Londra quando cercavamo di individuare i problemi delle persone per risolverli. Oggi quei problemi non si sono esauriti, sono semplicemente diversi.
“Non abbiamo abbastanza test. ”
“Non abbiamo abbastanza soluzioni di app che possiamo usare per tracciare gli infetti e i non infetti.”
“Non abbiamo abbastanza materiale sanitario in grado di aiutarci a gestire le operazioni in sicurezza.”
Ci sono un sacco di prodotti che sarebbero stati utili ma che oggi non abbiamo.
Alcune aziende li hanno creati, adattando temporaneamente le loro produzioni fashion o di bevande alcoliche in Italia come Miroglio e Ramazzotti. Per altri problemi, ciò non è stato ancora fatto, cosa stiamo aspettando?

Perché  ci sono stati nuovi prodotti e nuove tecnologie in alcuni settori mentre in altri no? Sicuramente la spinta imprenditoriale di costruire dipende un po’ dalla politica e un po’ dall’ideologia. Se la politica preferisce spendere ingenti budget per comprare armi piuttosto che aggiornare le infrastrutture del Paese effettua una scelta che non aiuta chi vuole sviluppare delle idee. Anche l’ideologia influenza, basti pensare che fino all’altro ieri erano poche le aziende che decidevano di sviluppare un e-commerce, mentre dopo 50 giorni di quarantena non riesco a contare tutte le agenzie e le startup che stanno lavorando in questa ottica. Perché solo adesso? Perché è più facile, tutta l’Italia ha vissuto sulla propria pelle un cambiamento che prima coinvolgeva solo pochi early adopters, per cui era facile pensare non fosse necessario.
La politica e l’ideologia dovrebbero stimolarci a sviluppare nuove idee e a spingerci a costruire. Ma non è così immediato e allora viene facile lamentarci.
Anche quando la nostra reazione se dimentichiamo la pancia e consideriamo l’obiettivo potrebbe essere diversa.

Alla base di chi costruisce c’è chi collabora

Torniamo al 2012 a Londra.
In quel frangente, oltre alle basi che ancora oggi costituiscono il mio lavoro di consulenza di growth hacking e startup, ho imparato a costruire e collaborare.
Ho imparato che avere un obiettivo di team è più importante che avere un obiettivo personale.
Ho imparato che un’idea ha valore ma che ha molto più valore lo sviluppo di quell’idea. E per svilupparla c’è bisogno di un team che si supporta, che collabora, che contribuisce e che costruisce assieme un prodotto.
La collaborazione è quella parola che ci fa sentire parte di un obiettivo più grande che raggiungiamo assieme. Quella situazione in cui non esiste il “non vedo l’ora che tu fallisca” come mi ha detto qualcuno in un gruppo Facebook di startup italiane, molto probabilmente solo per ricevere qualche follower in più.
Serve un modello condiviso di collaborazione per costruire, poiché tutti in una situazione di emergenza dovrebbero avere l’obiettivo di migliorare il presente confuso in cui si trovano.

its' time to buildNon è facile costruire, altrimenti sarebbe qualcosa che tutti noi potremmo fare quando abbiamo un’ora libera. Non basta parlare, discutere, dimostrare di essere bravi a raggiungere le metriche o far vedere su LinkedIn che facciamo campagne di lead acquisition che paghiamo pochi euro.
Abbiamo bisogno di lavorare assieme per sviluppare quelle idee, perché poi ne beneficeremo tutti.
E’ giusto chiedere di più ai nostri politici, ai nostri imprenditori, ai nostri investitori, ma perché lo facciamo lamentandoci e non lo facciamo costruendo e collaborando?
Marc dice che ognuno di noi dovrebbe chiedere “che cosa stai costruendo” e se non lo stiamo facendo, forse è arrivato il momento giusto per iniziare a farlo. Aggiungo che criticare chi sta provando a farlo non è parte del processo di creazione.
Non è facile costruire, è un casino soprattutto oggi, e puntare il dito per dimostrare a parole che siamo più bravi di quelli che ci stanno provando non ci porterà da nessuna parte, né come professionisti né come società.

Progetti di successo = collaborazione e team

I progetti che oggi valutiamo come pazzeschi non sono nati dall’operato e dal talento di una persona sola, è solo uno storytelling di marketing quello che vuole convincerci che per sviluppare e lanciare una startup o un prodotto di successo “serve un Jobs”. Dietro a qualsiasi missione incredibile c’è sicuramente un leader ma soprattutto c’è un team in grado di supportarsi e di creare qualcosa assieme che possa davvero fare  la differenza, partendo dai bisogni delle persone, o dalle proposte innovative di chi facendo ricerca e analisi crea nuovi significati.
Come ci insegna Harari, l’Homo Sapiens è riuscito a sopravvivere nei secoli per questa grande capacità di socializzare e di fare community, sviluppando progetti condivisi e prodotti unici che sono stati la base di qualsiasi rivoluzione.

Concludo con la traduzione di questo bellissimo pensiero di Marc: torniamo a costruire, torniamo a supportare le persone che costruiscono, torniamo a insegnare alle persone a costruire, prendiamoci cura di chi costruisce.
“Se il lavoro che stai facendo non porta a costruire qualcosa di nuovo o a prendersi cura delle persone che costruiscono, abbiamo fallito e dobbiamo cercare di farti occupare una posizione o una carriera che invece ti porterà a dare un contributo a costruire”.
Dobbiamo avere tutto il talento possibile per risolvere e costruire le risposte a questi nuovi problemi.

Torniamo alla nostra vera essenza.
Collaboriamo e costruiamo un mondo più bello.
Utopico? Forse.
Ma sono i sogni che ci rendono persone migliori

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