L’anno scorso è uscito il mio libro Viral Marketing. Com’è andata? Direi abbastanza bene, ma vi devo confessare che se tornassi indietro cambierei qualcosa.
Riflettendo per analizzare cos’avrei potuto fare meglio, ci sono due elementi che avrei potuto gestire diversamente.
Il primo mi riguarda direttamente: ho iniziato a scrivere un libro quando stavo per finire un’esperienza intensa e sfidante come quella che ho vissuto da Growth Hacker in Residence con Tim Berners-Lee, e è non stata davvero una buona idea. L’avevo pianificato e l’ho fatto, ma senza la lucidità che avrei dovuto avere. Ho imparato che troppo stress per me si trasforma in un blindspot, come lo chiama Ray Dalio. Avrei dovuto fare un mese di vacanza e venire in Italia per ascoltarmi, riallineare la mente e capire come stavano realmente le cose.
Il secondo elemento riguarda invece il mercato. In un mese in Italia avrei capito che era ancora tanto l’entusiasmo e la curiosità sulle strategie di Growth Hacking per spingere a fare il passo successivo. Ma io volevo andare veloce, ero affamata di novità, erano già 4 anni che parlavo solo di Growth Hacking e quei pochi feedback che avevo sentito erano in linea con i miei pensieri, serviva qualcosa di nuovo.
Non avrebbe avuto senso fermarsi.
Il marketing virale non dipende dall’azienda o dalla startup
Ho fatto l’errore che dico sempre ai miei clienti di non fare: non ho ascoltato davvero il mercato. Non ho raccolto dati quantitativi e qualitativi per capire come stavano davvero le cose e mi sono fermata a quelli che confermavano la mia idea. Abbiamo finito per lanciare quando la maggior parte del mercato non era ancora pronta, non c’era la sazietà necessaria per guardare al capitolo successivo. La sfiga inoltre ci ha visto benissimo: siamo usciti a fine giugno quando tutti pensavano alle vacanze, con un titolo generico come Viral Marketing che incute curiosità ma dal sapore trito e “già sentito“, anche se i contenuti sono pazzeschi.
La voglia di andare veloce combinata alla presunzione di sapere cosa succede nel nostro mercato di riferimento senza ascoltarlo davvero è successo a me ma avviene anche nelle startup e nelle aziende. Si lancia il prototipo e quando si vede che funziona in alcune nicchie (in gergo startup si dice che otteniamo il product/market fit oppure qualche cliente in azienda ci dice che è una bellissima idea) diamo per scontato che andrà alla grande.
Cerchiamo un metodo veloce per crescere, guardando al virale come alla strategia che ci potrebbe aiutare a scalare velocemente, ossia macinare numeri, quando in questa fase la cosa più importante da fare è il learning. Quando facciamo questo pensieri ci dimentichiamo infatti di un fattore essenziale: il virale non dipende da noi o dalla nostra azienda.
Sono i nostri clienti che decidono di accendere il passaparola e non possiamo controllarne o manipolarne le motivazioni. Possiamo solo sperare di gestire l’onda virale quando questa accadrà e se siamo una startup il nostro obiettivo è soprattutto quello di “registrarla” in termini di performance trasformandola in KPI di business. Ma come?
Qual è il canale di marketing virale per la tua startup?
Dai miei colleghi del marketing accademico arrivano spesso consigli sui nuovi canali da provare per andare virali.
Avete provato qualcosa anche voi? Ci sono molteplici situazioni in cui questi consigli funzionano. Per esempio quando derivano dai cambi di algoritmo dei social: quando un canale predilige un nuovo formato, le chance di andare virale sono maggiori, per esempio quando una campagna si basa su una live. Facebook un po’ di mesi fa premiava questo tipo di contenuto con maggiori visualizzazioni ai video e alle live streaming, se conosci bene i meccanismi intrinseci dei social per moltiplicare i numeri senza budget hai fatto bingo.
Oppure provi a usare un nuovo social, come TikTok perché tutti dicono che è facile andare virale, ed è vero, uno dei tuoi video va virale, pazzesco! Oppure ancora, commissioni un video che sia completamente disruptive rispetto ai canoni tradizionali (vi ricordate Motta?), prendi una posizione (come Nike) o pubblichi dei bei contenuti scritti nel modo giusto al momento giusto: il virale avviene! Beh, in cuor tuo lo sapevi che un buon numero di persone sta cercando di esprimere proprio quei concetti, e condividendo il tuo post li aiuti a farlo in modo semplice e poco faticoso.

Tutti gli esempi che ho fatto finora sono esempi di strategia di marketing virale. Il risultato finale si vede su un canale ma presuppone delle leve che mettono in moto qualche meccanismo virale che in genere comprende più canali. Uso il condizionale perché per quanto abbiamo lavorato bene nella pianificazione e nella gestione di queste leve non saremo mai sicuri al 100% che andrà virale perché il passaparola non dipende da noi.
Ma è davvero questo il virale che conta?
E’ davvero questo il virale che permette a una startup di crescere e scalare?
La strategia di marketing virale in una startup
A cosa serve un video virale per una startup?
Si fa brand awareness, si ottengono followers, si aumenta la popolarità del prodotto o servizio offerto, si crea memorability che potrebbe aumentare gli utenti se un giorno continueranno a ricordarsi di cosa fa la startup. Sono sicura che chi fa marketing e comunicazione risponderebbe così.
Ma io non credo che nelle startup abbia senso parlare solo marketing perché il marketing da solo non basta in una startup, è il prodotto a fare davvero la differenza.
Un video virale senza una connessione al prodotto diventa una doppia scommessa per una startup early-stage (senza un brand forte).
Scommessa n.1: non sai se il video andrà virale, per tutto quello che ci siamo detti finora.
Scommessa n.2: convertirò queste 100.000 views in % utenti che diventeranno attivi e in target con il mio business?
La domanda da porsi, come mi hanno insegnato nel 2013 quando muovevo i primi passi tra le startup, quindi è: a cosa serve creare un contenuto se non hai un’idea abbastanza precisa del suo impatto nel business?
Ecco perché parlavo di prodotto.
La product-led growth è la strategia di crescita che mette il prodotto al centro e che lo fa diventare l’elemento che registra la strategia virale. Il successo di una strategia virale non dipende più dal numero di views di un video ma dalle conseguenze in termini di KPI del business. Per esempio quanti utenti sono registrati grazie alla strategia virale?)
E’ dal prodotto che dipende la crescita, quindi è compito del prodotto registrare l’impatto virale e “lavorare con il marketing” per massimizzarne gli effetti di business.
Se l’effetto virale comprende solo le views del video e una percentuale di conversione dello 0,5% non ve lo devo dire io che è davvero inutile, che ne dite?
Ecco quindi che la strategia di marketing virale in una startup non dipende più esclusivamente dalla strategia di marketing virale ma:
1) dalla progettazione del prodotto,
2) dalla value proposition della startup (che dipende dal prodotto)
3) dall’utente che utilizza e si innamora del prodotto
Riassumendo, il virale in una startup dipende dal prodotto.
Per trasformare questo concetto in pratica signfica che potete sperimentare il microcopy del referral link, la CTA, la forma del bottone, ma quello su cui davvero dove concentrarvi sono il problema, il target e la soluzione.
Se state andando nella direzione giusta ve lo dice il Net Promoter Score.
Il marketing virale per una startup è da builder, il resto è retorica e fortuna.
(tutti i consigli sono descritti in modo più specifico in questo deck sul marketing virale, che ho usato in alcuni webinar ed eventi in quarantena).
La strategia di marketing virale in una startup: il caso Uniwhere
Nei miei speech, racconto spesso il caso di Uniwhere che trovate ben descritta anche in Viral Marketing. Non solo perché i miei pensieri sono spesso allineati a quelli di Gianluca Segato sulle startup, ma perché penso che il loro caso sia emblematico per raccontare cosa intendo. Hanno avvertito l’onda virale, l’hanno catturata in modo organico con il prodotto e sono riusciti ad amplificarla dal marketing. Un ottimo case study di quello che intendo quando parlo di viral growth e product-led growth.

Uniwhere è un’app che permette agli studenti universitari di gestire la loro vita scolastica dalla gestione del libretto alla pubblicazione dei voti degli esami. Lo fa con un’infrastruttura tecnologica che si appoggia ai sistemi universitari e che rende tutto disponibile sull’app, aggregando le diverse facoltà e sedi.
Nel 2018 hanno registrato un’onda virale grazie a una strategia di crescita basata sul prodotto: sull’app era disponibile il risultato di un’esame che per vari motivi non era ancora uscito sui sistemi informatici di Bocconi. +150% di download per controllare i risultati dell’esame, trasformati poi in utenti attivi e retention.
Una crescita giornaliera moltiplicata x3 partita dalla qualità tecnologica del prodotto e risultati intensificati con l’amplificazione del passaparola grazie ai social media (gli studenti taggavano l’app nelle stories di Instagram che ha amplificato il virale).
Dov’è il video virale? Non c’è.
Nelle startup, non serve un video per andare virale, anzi, senza video è quasi meglio: non vi fate fregare dall’ego.
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