Sono da poco rientrata a Londra dopo una 24 ore a Bari per un intervento sul Growth Hacking alla Startup University, un percorso di pre-accelerazione organizzato dal buon Stefano Narducci. Era per la prima volta dopo molto tempo che nella giornata dell’8 marzo non mi occupavo di un progetto specificatamente dedicato alle donne.
“Pazienza” ho pensato “È da almeno 4 anni che ci metto la faccia, facciamo qualcosa di diverso“.
Poi ci ho pensato bene e ho deciso di condividere tutto il mio pensiero sull’otto marzo, sperando che possa essere utile per tutti quelli che hanno un obiettivo o sono semplicemente sensibili al tema.
Premetto che non ho una soluzione, non mi sento una femminista, e porto solo alcuni pensieri di una professionista che cerca di dare un contributo per costruire un futuro più equo per tutti.
L’8 marzo siamo tutti più sensibili all’empowerment delle donne.
Io credo dovremmo esserlo tutto l’anno.
Step numero 1: c’è davvero un problema all’empowerment delle donne?
L’idea di impegnarmi in modo pratico per l’empowerment delle donne nella giornata dell’8 marzo mi è capitato un po’ a caso, qualche anno fa grazie all’invito a partecipare a un Hacktahon per analizzare se la tecnologia potesse aiutare a colmare parte di quel gap. Una bellissima iniziativa, e da quel giorno, ho capito che potevo fare qualcosa di più che scrivere sulla mia bacheca Facebook che noi donne dovremmo poter agire come vogliamo senza paranoie, scuse e costrizioni in qualsiasi ambito. Cioè si, lo scrivo lo stesso ma mi spingo un po’ oltre alla gloriosa idea, che ovvio è vera, ma credo che continuare a ribadirlo aiuti solo parzialmente a cambiare le cose. Non possiamo agire da sole pensando di poter cambiare qualcosa, anzi credo sarebbe tutto più bello se questo lavoro non fosse semplicemente lasciato al singolo. Perché avere più donne che lavorano in certi settori ha ripercussioni enormi, per tutti (lo dice anche la Banca d’Italia).
Vi porto come esempio la mia esperienza in tech e startup.
Di problemi anche qui ce ne sono molti e non lo dico io ma i dati. Ve ne riporto alcuni qui di seguito.
Le startup fondate da donne che ricevono fondi di investimento per sviluppare le loro idee sono il 2%. E credetemi, non sono idee o progetti di serie B oppure focalizzati solo al sociale. I team di soli maschi hanno probabilità 4 volte maggiori di ricevere un investimento. Lo dice il Ft Times.
In team di startup inferiori a 10, le donne sono solo il 29%. E spesso hanno solo 39cents per ogni dollaro di equity (azioni) che invece possiedono i loro colleghi maschi. Equity che per una startup piccola possono valere nulla o milioni, quando queste crescendo diventano Unicorni. Lo dice Fast Company
Le startup non sono immuni dal gender pay gap. Una donna viene pagata il 25% in meno rispetto a un collega maschio con anni di esperienza simili nelle startup a Berlino. Ciliegina sulla torta, quando le donne acquisiscono maggiore esperienza questo gap aumenta invece di diminuire. Lo dice Berlin Startup Jobs.
Aggiungo ora un paio di cose che ho visto personalmente.
Sono una delle pochissime donne che lavora nel Growth Hacking. Praticamente l’unica ad avere scritto un libro sul marketing per startup in tutto il mondo. Fate una ricerca su Amazon e vedrete che se ne trovate qualcuna, si contano sulle dita di una mano. Qualche anno fa eravamo in parecchie a fare questo mestiere, le mie colleghe ora fanno solo marketing, perché quando lavori in un team di tutti maschi con ritmi e metriche non è semplice farsi ascoltare. E ogni tanto ti chiedi chi te lo faccia fare.
Sono una delle poche donne nelle giurie degli Hackathon e dei premi per startup. Anzi, spesso sono anche l’unica speaker donna a grossi eventi del settore. Badate bene, non voglio fare una ramanzina a chi li organizza, nella maggior parte dei casi si tratta di un bias inconscio, non è colpa solo di chi organizza anche se si tratta di una situazione che ognuno di noi potrebbe contribuire a cambiare. Una maggiore rappresentanza potrebbe aiutare ad aumentare il numero di donne in questi settori? Io credo che un aiuto potrebbe darlo.
Step numero 2: e ora che si fa?
Ora che abbiamo individuato che c’è un problema all’empowerement delle donne, almeno in tech, lasciamo stare le cause (ricordatevi solo che una volta nel computer science non era così) e proviamo ad andare oltre.
Torniamo all’Hackathon a cui mi avevano invitato nel 2015.
L’idea era quella di pensare alla tecnologia come uno strumento per risolvere alcuni problemi, stereotipi e difficoltà che si vivono quando si è donna e si lavora in tech. Io e il mio team abbiamo pensato di risolvere uno dei problemi alla base del numero limitato di donne in tech che si crea fin dall’infanzia. Quando da bambine pensiamo di non essere abbastanza brave, e complice la poca fiducia, ci convinciamo che non ce la faremo mai. Spesso vediamo la matematica o la logica come difficili e pensiamo che siano materie per maschi. E ci ripetiamo che “noi non ce la faremo mai, non siamo portate“. Niente di più sbagliato ma sono in pochi quelli che ci aiutano a mettere in discussione questa nostra auto convinzione.
Nel nostro Hackathon avevamo pensato di farlo tramite un gioco online che permettesse a bambini e bambine di apprendere le regole logiche sulla quale si basano informatica e analisi delle probabilità, quelle che sono poi fondamentali per imparare la matematica e l’informatica. Tramite storie di principesse guerriere e gruppi di gioco misti volevamo cambiare le modalità con cui queste regole vengono spesso insegnate a scuola, cercando di evitare che fossero considerate materie noiose e aiutare le bambine in particolare ad affrontare in modo semplice il confronto, reagendo a queste prime sfide con determinazione, fiducia e caparbietà.
Abbiamo vinto l’Hackathon, il nostro progetto non è stato mai realizzato ma alcune delle mie compagne di team sono diventate programmatrici software. E di mio, da quel momento ho capito che potevo fare molto per aiutare tante ragazze a capire che niente è impossibile, se lo vogliamo. Perché al di là della tecnologia e dei software è davvero questo quello che dobbiamo imparare a fare. E l’ho applicato su di me, prima di tutto, con un libro e tanti progetti di consulenza per startup quando nel 2015 pensavo di non essere brava abbastanza. A volte per dimostrare di essere più competenti basta un po’ di fiducia in se stessi, lo dice anche Harvard Business Review.
L’otto marzo ho continuato a fare qualcosa per aiutare le donne, ma questa volta non mi sono limitata a individuare un problema, ho cercato di portare delle soluzioni. Sono dell’idea che se non porti delle soluzioni diventi parte del problema. Ecco che nel 2017 e 2018 ho co-organizzato Whats Next Talk, una sorta di Ted Talk pensato per dimostrare che i modelli di ruolo in materie STEM ci sono e si tratta di donne toste, competenti e da prendere come esempio. Abbiamo portato sul palco di un piccolo teatro di provincia 13 donne che hanno portato la loro esperienza di progetti e carriere e di come hanno affrontato sterotipi, dimostrando competenze, caparbietà e fiducia in loro stesse. (Ora siamo in anno di pausa poiché come tutti i progetti anche questo si sta evolvendo.)
Venerdì scorso quando sono arrivata all’Università di Bari e ho guardato bene il gruppo di ragazzi e ragazze che avevo davanti ho capito in poche ore che potevo fare di più per andare oltre la semplice constatazione di un problema.
Non era vero che non stavo facendo qualcosa per le donne in questo 8 marzo 2019.
Lo stavo dimostrando, stavo facendo vedere a tutti che qualsiasi donna ce la può fare con le competenze, la determinazione e la fiducia in se stessa.
Quando ti focalizzi sui tuoi obiettivi, li raggiungi, e ne te ne dai ancora di più alti e li raggiungi di nuovo, beh lì non conta tanto se sei una donna, conta quello che fai. Cioè, sì, magari sei ancora una donna per molti all’inizio, ma poi non lo sei più, perché contano le competenze e le esperienze.
Quando nel pomeriggio ho diviso la classe in gruppi di lavoro e le ragazze si sono aggregate tra di loro non ho condividiso solo i miei consigli per i loro progetti.
Ho fatto capire loro con l’esempio quanto è importante lavorare su di noi, sulle nostre competenze e sulla nostra fiducia, come donne e come imprenditrici.
Mettendoci continuamente in discussione e imparando che non serve essere perfezioniste ma coraggiose.
Perché la tecnologia è il nostro futuro e dobbiamo sempre più farne parte, sviluppando progetti e spingendoci sempre più al di fuori della nostra zona di comfort. Imparando a lavorare in team misti portando il nostro punto di vista e le nostre idee, senza pensare di essere poco valide perché non ne sappiamo abbastanza.
Non ne sapremo mai abbastanza, tanto vale iniziare adesso e lavorare per diventare sempre più brave, non perfette.
L’empowerment delle donne deve innanzitutto partire da noi stesse, dai nostri sogni, dalle nostre paure, dalle nostre difficoltà e dagli obiettivi che ci poniamo per superarle.
Step numero 3: ognuno di noi è un modello
Non credo nelle quote rosa, non credo nella necessità di perseguire obiettivi di diversity perché dovrebbe essere normale amministrazione. Come ha scritto il mio amico Michele, dovremmo tutti capire che non c’è nessuna differenza nelle esperienze e nelle competenze tra uomini e donne, dovremmo invece parlare di arricchimento. Spero solo di non dover aspettare fino al 2099 perché ciò succeda.
Alcune delle mie amiche dicono che dovrei stare zitta e non espormi con questi pensieri femministi. Non ho la presuzione che tutti condividano questo punto di vista, se lavorate in un’azienza dove non vedete discriminazioni sono felice per voi. Ma non significa che perché a voi non succede, il problema non ci sia. Sono contenta che le vostre esperienze siano positive, vi invito tuttavia a ricordarvi che non è sempre così. Perché non si tratta di idee o percezioni. Ma di dati e di esperienze. Perché le ho sentite le persone che a malincuore mi dicevano che scappavano dal mondo startup perché non riuscivano a replicare a domande tipo “ma davvero ti interessa tutta questa roba tech o sei qui per trovarti un buon marito?“. Oppure quando ricevi feedback continui e completamente diversi da investitori uomini bianchi che ti dicono che il tuo progetto non è abbastanza, senza capire qual è il motivo per cui ti vuoi occupare di fashion tech e senza trovare declinazioni alla parola empatia, nemmeno se si sforzano e pensano alle abitudini delle loro mogli.
Quello che per fortuna ho visto in questi anni è un cambiamento. Nell’entusiasmo delle ragazze e nel contributo di tanti ragazzi che, mettendosi in prima linea, hanno cercato di dimostrare non fosse così, diventando a loro volta modelli di ruolo contro chi le donne semplicemente le ignora.
Vi dico la verità, è bello vedere che sono sempre più quelli che non si fanno intimorire dagli stereotipi e che credono nelle competenze e nella bellezza della condivisione. Facciamolo, sempre, di continuo, non solo l’otto marzo. Per le nostre amiche, le nostre colleghe, le nostre sorelle, figlie e nipoti. Continuiamo così ogni giorno e il 2099 arriverà prima che ce ne rendiamo conto.
Finché aspettavo in aeroporto a Bari il volo per rientrare a Londra ho ricevuto un messaggio che faceva più o meno così “Vorrei diventare una professionista di marketing”.
E io le ho detto che mi sembra un difficile ma bellissimo obiettivo e di non mollare mai.